28/03/2012
Luigi Campiglio, docente di Politica economica all'Università Cattolica di Milano.
“Non c’è alcuna evidenza statistica seria del fatto che la
mobilità del lavoro in Italia nel settore privato sia più bassa di quella degli
altri Paesi europei” commenta Luigi Campiglio, docente di Politica economica
all’Università Cattolica di Milano, esperto di consumi e dinamiche familiari.
“Semmai la situazione italiana è all’opposto: gli indicatori dell’OECD sulla
protezione dei lavoratori occupati (il cosiddetto Employment protection index) nei Paesi monitorati dicono che in
Italia il livello di protezione è già il più basso della Francia, della
Germania e anche del Portogallo e della Spagna”.
Dunque secondo lei
non c’è un problema di flessibilità in uscita? In Italia si fa fatica a
licenziare?
“Tutt’altro. Quel poco che sappiamo sulla mobilità del lavoro
in Italia è che è più o meno dello stesso ordine di grandezza degli altri Paesi
europei e non lontana da quella americana. Se guardiamo a dati ufficiali
l’Italia è uno dei Paesi meno protetti sul piano del lavoro”.
Che giudizio dà della
riforma Fornero?
“Il mio giudizio è che questa riforma va valutata nelle sue
implicazioni. Da quando c’è l’euro i processi di aggiustamento dentro l’Eurozona
non sono più gestibili da tutti i Paesi con politiche valutarie”.
Significa che prima dell'euro, grazie alal nostra "liretta" la Banca d’Italia svalutava e le esportazioni riprendevano fiato?
“Esattamente. Questo però significa scegliere tra due
strumenti alternativi: o diminuire i salari oppure aumentare la produttività
sul piano della qualità dei prodotti. Questa riforma ha scelto la prima
soluzione”.
In che modo?
“Con l’aumento della discrezionalità nei licenziamenti. Lo
ha scritto autorevolmente anche Luciano Gallino su Repubblica. Le imprese
riducono il costo del lavoro sostituendo il lavoratore cinquantenne con uno 25enne,
il cui costo del lavoro è la metà. Questo può rappresentare un vantaggio per le
aziende che vivono di export. Ma non si può dimenticare che se il giovane e il meno
giovane sono un figlio e un padre che
condividono il medesimo reddito familiare, licenziare il padre per assumere il
figlio a metà salario significa dimezzare il reddito familiare. E quindi
ridurre il tenore di vita, impoverire la famiglia e ridurre la domanda per i consumi
del Paese, Come se non ne avessimo abbastanza, di famiglie impoverite”.
Il premier Monti
non arretra sui licenziamenti economici senza possibilità di reintegro. Sostiene
che la riforma del lavoro è necessaria per sostenere lo sviluppo. Che ne pensa?
“Penso che sia infausta, per usare un termine adoperato dal
vescovo Bregantini, responsabile della Commissione Lavoro della Cei. Se io
prendo il 50enne affermando che esiste la crisi e dico che per ragioni
economiche preferisco il 25enne che mi costa la metà ho già motivi sufficienti
per licenziare il padre. La crisi infatti esiste. Ma è come dire che devo
licenziare qualcuno per via della contingenza: basterà un rialzo dei tassi, una
crisi valutaria, un congiuntura sfavorevole, un segno meno nella bilancia dei
pagamenti. Tutti fattori “esogeni”, come diciamo noi economisti, scaricati sul
povero lavoratore. E, badi bene, restiamo sempre nel campo della ragione economica,
perché a quel punto più economica di così…”.
In effetti ci sono
aziende che se ne gioverebbero…
“Il punto è che questo ragionamento può funzionare per una
singola impresa. Ma quello che può andar bene per una singola impresa diventa
un disastro per l’insieme delle imprese. Se tutte le aziende che operano sul
territorio nazionale, che lavorano per la domanda interna, fanno la stessa
operazione, il risultato è che tutte le famiglie avranno un reddito dimezzato e
quindi un potere d’acquisto dimezzato. Si deprimeranno ulteriormente i consumi.
Le aziende potranno fare più investimenti, ma si riduce il bacino ei
consumatori. La domanda interna diminuirebbe in modo brusco”.
Si è sempre detto
che il problema prioritario in Italia è la disoccupazione giovanile. La
flessibilità in entrata della riforma è molto migliorata…
“Questa politica nasconde il vero obiettivo di riduzione dei
salari reali, anziché l’aumento della produttività. Ma crea una divisione
generazionale, un conflitto tra padri e figli che è quanto di più negativo si
possa immaginare per il Paese. Padri e figli, per l’appunto, che o vivono nella
stessa famiglia o comunque sono strettamente collegati. Questa riforma anziché
risolvere il problema dei figli rischia così com’è di mettere i figli contro i
padri. Peggio della ruggine che corrode il ferro”.
Francesco Anfossi