Ma il Welfare non è ancora finito

I tagli ai bilanci degli enti locali producono un crescente senso di abbandono tra i cittadini più vulnerabili. Ma c’è una parte di sociale che intende collaborare per il cambiamento.

07/03/2012
Presidio di precari, disoccupati e operatori sociali del welfare davanti al Comune di Napoli (foto Ansa).
Presidio di precari, disoccupati e operatori sociali del welfare davanti al Comune di Napoli (foto Ansa).

La crisi economica sta imponendo alle persone, soprattutto a quelle più fragili, grandi sacrifici. I tagli ai bilanci degli enti locali stanno producendo, fra i più vulnerabili e fra i malati, un crescente senso di solitudine e di abbandono da parte delle istituzioni. I nuovi poveri, i tanti precari, i giovani disoccupati, gli immigrati, i detenuti, gli anziani vengono lasciati ancora più soli. Le difficoltà economiche non devono tuttavia essere considerate il segno della necessità di accantonare definitivamente il nostro sistema di welfare per lasciare spazio alla beneficenza o al mercato.

Non possiamo rassegnarci all’idea che il welfare sia finito, come sostiene qualcuno. La crisi ci ricorda al contrario che nuove paure affliggono le persone. Eppure pochi ascoltano. Il primato è all’economia e alla finanza e vengono messi in pericolo i princìpi di fondo del sistema di tutela dei diritti, imponendo revisioni e ridimensionamenti che rischiano di andare oltre il contenimento delle inefficienze e il risanamento del bilancio pubblico. Il rischio è che vengano sacrificati i princìpi che la Costituzione ha affermato con forza, ma che non trovano ancora concreta applicazione nel nostro Paese. Per questo con il contributo di tanti amici stiamo cercando di fare delle proposte concrete.

C’è una parte di sociale che ha voglia di collaborare per il cambiamento, di dialogare con la politica e anche di capire cosa cambiare al proprio interno. Un sociale che chiede il riconoscimento del proprio ruolo e rifiuta una delega in bianco sulle questioni sociali più gravose. Diciamo no ai tagli lineari, perché iniqui, demotivanti e penalizzanti. Diciamo sì al recupero di ulteriori risorse per il welfare, chiedendo trasparenza sull’utilizzo di fondi che potrebbero essere destinati al sociale come i capitali sequestrati e confiscati alle mafie o i fondi dell’8 per mille sottratti alle finalità di legge, come ulteriori sgravi fiscali per il non profit.

Luigi Ciotti, fondatore di "Libera"
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Postato da antonel il 16/03/2012 17:29

Dieci anni dopo l'assassinio di Marco Biagi, forse si riforma il sistema di ammortizzatori sociali; che poi in Europa si chiama Welfare , perché da noi serve ad ammorbidire le cadute e lì a rimettere in piedi chi cade. Dieci anni fa il governo Berlusconi non trovò i soldi per finanziare la riforma, si prese la flessibilità e buttò la protezione: rimase una « flex » senza « security ». Il governo di adesso dice che invece troverà i soldi: si vede che i tempi sono migliori. Ma non stretti però, visto che si partirà, pare, dal 2017. Dieci anni dopo l'assassinio di Marco Biagi, personalmente attaccato dal segretario della Cgil del tempo, Sergio Cofferati, il segretario di oggi, Susanna Camusso, ammette: «La Cgil può avere fatto errori di personalizzazione, la personalizzazione è sempre sbagliata... credo possa aver confuso lo studioso con il governo...». Non una vera autocritica, ma sempre meglio di niente. Anzi, da parte dei nemici di allora è in corso una rivalutazione un po' truffaldina di Biagi, quasi come se fosse sempre stato un oppositore della «legge Biagi». Quarantadue anni dopo lo Statuto dei lavoratori, forse si riforma un articolo di quella legge: il celebre, sacro, intoccabile 18. Pare che nel frattempo il mercato del lavoro sia infatti un po' cambiato: allora non c'erano la globalizzazione, gli immigrati, il computer, il cellulare, i voli low cost , l'euro, eccetera eccetera. Infatti Gran Bretagna e Spagna con le loro riforme hanno fatto in tempo in questi dieci anni ad avere un boom e uno sboom dell'occupazione, e la Germania addirittura un boom, uno sboom e poi un ri-boom. Noi ci stiamo pensando. C'è pure chi è in ritardo sul ritardo: quelli che stavano nel Pci si astennero anche sullo Statuto, nel '70. (ANTONIO POLITO, Corriere della sera)

Postato da Andrea Annibale il 07/03/2012 19:46

Prima di tagliare il Welfare, si dovrebbe fare ciò che mi pare proponesse Bersani, cioè l’imposta patrimoniale. Una imposta patrimoniale, personalmente, la immagino come un tributo una tantum per ridurre il debito pubblico. Una cosa straordinaria che si fa ogni tot decenni per colpire il risparmio degli evasori e di chi più ha beneficiato durante la sua vita del Welfare medesimo. Però, questa imposta dovrebbe tenere conto anche del reddito delle persone in quanto vi sono persone con un discreto patrimonio ma con scarso reddito e di questo, appunto, si dovrebbe tenere conto. Non sono d’accordo che si possa alimentare il Welfare tagliando le spese militari che sono già tra le più basse in Europa. Circa la confisca dei beni ai mafiosi mi pare lodevole ma qual è il gettito che si può ottenere realisticamente? La proposta di spostare la tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette non mi trova del tutto d’accordo perché colpisce i più poveri. Mi pare che si potrebbe far pagare di più i servizi pubblici perché costano troppo poco per chi se lo può permettere. Inoltre, bisognerebbe separare l’assistenza sociale dalla previdenza. Ciao. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter:@AAnnibale.

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