Ma nessuno dica che l'importante è partecipare

Dopo L'Olimpiade 2016 gli Stati Uniti vedono sfumare la Coppa del mondo.

03/12/2010

    E non ditegli che l'importante è partecipare. Perché sono Mondiali di calcio e conta solo vincere. Però a Barak Obama, che stavolta ha pure perso l'aplomb proverbiale,  nemmeno con lo spirito olimpico era andata benissimo. Per il 2016 dovendo scegliere tra Chicago e Rio de Janeiro lo spirito ha soffiato a Sud, verso il Paese emergente dell'America Latina. E non vale come scusa il fatto che a fermare il soffio sia stata l'aria fermissima di Chicago. A Pechino 2008, la sera della cerimonia d'apertura non volava un refolo, in compenso una specie di phon soffiava che era un piacere sulle bandiere, dotate di un vento più privato della nuvola di Fantozzi.

    C'è qualcosa di supersimbolico in quel vento bugiardo: tutto si addomestica anche il clima, nelle assegnazioni non note per la loro trasparenza, (è vero che Fifa e Cio sono organismi di versi ma l'andazzo è simile). A Doha hanno già comunicato che i 50 gradi all'ombra non saranno un problema per giocare partite: ci sarà l'aria condizionata. E qualcuno pure commenterà acido che quando a Pasadena, nel 1994, si giocava alle 13 per ragioni televisive, non c'era neanche un ventilatore. 

    Sorrideranno i greci svenati dalla crisi economica, pensando che chi di dollari ferisce di petroldollari perisce, con chiaro riferimento all'edizione olimpica del centenario sottratta all'Acropoli dalla Cocacola. Atene, beffata da Atlanta nel 1996, fu risarcita solo nel 2004 quando il centenario era passato da otto anni.

    Invece la Cina, con cui casualmente tutti fanno affari, potè serenamente inaugurare i suoi Giochi nel suo giorno fortunanto: l'8-8-08 alle 8 della sera, perché in Cina l'8 è simbolo buona sorte. Magra consolazione, se ci sarà, il sorriso sotto i baffi dei greci, comunque, perché il mal comune non è mezzo gaudio e neanche un terzo, ma jella doppia o tripla per tutti: l'amara consolazione che anche nello sport conta solo quel che si vende, si tratti petroli o di gas - a proposito Putin raddoppia, dopo i Giochi invernali 2014 i Mondiali del 2018) -, e che avrà sempre più ragione sulla tradizione, sulla storia, sulla passione. 

    Ancor più di Obama, del resto, masticano amaro gli inglesi che il calcio l'hanno inventato e amato fino alla follia. Non è bastato loro inventare il gioco più amato al mondo, non è bastato isolare i violenti e riportare le famiglie allo stadio. Ci vuole altro sul piatto: i dossier, quei bei faldoni che servono a dimostrare che ti meriti di organizzare più di altri, perché hai tradizione, impianti, sicurezza e un sacco di virtù, sono la foglia di fico che serve a coprire le sconcezze di un sistema, che le fa ma si vergogna di esibirle. 

    Non perché abbia senso del pudore, ma perché non sta bene, perché alla gente non piace sentirsi dire in faccia che lo sport di vertice è ormai solo un grande affare, politico, economico e di Stato. Per il vero non è neanche una gran novità: L'Olimpiade di Berlino 1936 aveva già qualcosa da insegnarci in merito. E la deriva sta solo precipitando nel senso che non si prova più neanche a salvare la facciata.

    Del resto il Qatar e, con esso il Barhein, da tempo compra atleti promettenti keniani o marocchini, per vincere nell'atletica delle lunghe distanze. Danno vitalizi in cambio, e chi ha fame, se pure la sua terra ha fame, non può fare lo schizzinoso. Anche se in cambio gli chiedono oltre alla maglia e alla bandiera, anche l'anima: il nome e la data di nascita. 

    Così è se vi pare, e se non vi pare anche.

Elisa Chiari
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