Macedonia, se torna la guerra fredda

Nel Paese a Nord della Grecia si moltiplicano da mesi gli episodi di intolleranza tra slavi e albanesi. Anche la Grecia continua a opporsi al suo ingresso nell'Unione europea. Ma ora...

24/05/2012
L'incontro tra il leader macedone Ivanov e il suo omologo albanese Topi.
L'incontro tra il leader macedone Ivanov e il suo omologo albanese Topi.

Una condanna del “clima di pregiudizio” e un invito a “vivere in pace”. Questo è il senso della nota congiunta tra il presidente macedone Ivanov e il suo omologo albanese Topi firmata in occasione della visita ufficiale, il 20 aprile scorso, della delegazione di Tirana a Skopje. Un appello a tornare al “frozen conflict”, termine con cui è stata classificata in questi anni la difficile convivenza tra albanesi e slavi macedoni. Dall’inizio del 2012, come fuoco sotto la cenere, la tensione interetnica si è ravvivata, facendo apparire lo spettro delle centinaia di morti del 2001, quando solo la determinazione della comunità internazionale ad evitare un “nuovo Kosovo” aveva portato alla fine delle ostilità e alla firma degli accordi di Ohrid.

Il 2012 ha visto un’escalation caratterizzata da episodi in cui il movente etnico spesso non è sicuro, ma è continuamente evocato. A metà gennaio, durante il carnevale di Vevcani, il più famoso della Macedonia, alcune maschere ritenute offensive dell’Islam hanno dato il via a scontri etno-religiosi: sono seguite delle proteste da parte dei musulmani albanesi in cui sono stati scanditi slogan come “a fuoco Vevcani” e “morte ai cristiani”, cioè gli ortodossi macedoni; successivamente, la chiesa del villaggio di Labunista è stata data alle fiamme, mentre a Struga è stata distrutta una grande croce di legno. La strumentalizzazione della religione e la distruzione dei simboli religiosi sono un altro degli spettri che vaga per i Balcani. A metà febbraio, a Gostivar, in una lite per un posteggio d’auto, un poliziotto macedone, in quel momento fuori servizio, ha ucciso due vicini albanesi. La questione etnica pare fosse del tutto incidentale, una banale diatriba tra automobilisti finita in tragedia.

Eppure, forse complici alcuni mass-media, nei giorni successivi la violenza è sfociata per le strade della capitale, dove persone mascherate sono salite sugli autobus pubblici iniziando a malmenare i passeggeri macedoni. Per molti commentatori si è trattato di una risposta alle uccisioni dei due albanesi di Gostivar. È seguita una settimana di scontri, segnata da mazze da baseball, spranghe, bandiere bruciate, arresti, campionato di calcio sospeso per gli scontri tra tifoserie, molotov contro l‘ambasciata macedone in Kosovo e proteste anche in Albania. Fino all’episodio più grave, il 12 aprile, il Giovedì Santo ortodosso - e nei Balcani il significato dei giorni conta -, a Radisani, periferia di Skopje: quattro ventenni slavi sono stati uccisi da colpi d’arma da fuoco da distanza ravvicinata sulla sponda di un lago artificiale e, a pochi metri, è stato ritrovato il cadavere di un altro uomo, forse un testimone oculare. Mentre il tam tam popolare ha subito ipotizzato la matrice etnica, la polizia manteneva il riserbo non escludendo un regolamento di conti tra bande mafiose locali. Tuttavia, Gordana Jankulovska, ministro dell’Interno, ha dichiarato che “l’omicidio era organizzato e le cinque vittime scelte a caso”, contraddicendo così la prudenza espressa dagli investigatori.

Altre proteste, altre bandiere bruciate. Cinque feriti, dieci arresti, ingenti danni al Palazzo del Governo macedone: è il bilancio della manifestazione organizzata il 16 aprile da un migliaio di giovani slavi, molti dei quali minorenni; il giorno successivo, un non meglio precisato Esercito per la Liberazione degli albanesi occupati ha lanciato, dal nord del Kosovo, un ultimatum contro Skopje: due settimane di tempo alla Polizia macedone per levare le tende dai villaggi albanesi, altrimenti - dicono - l’attaccheranno militarmente. Durante gli anni Novanta, la Macedonia ha ottenuto la sua indipendenza dalla Jugoslavia senza il ricorso alle armi, salvo conoscere tensioni e violenze negli anni successivi. Dei due milioni di macedoni, il 25% sono di etnia albanese. Lo scorso ottobre, in corso d’opera, è stato annullato il censimento per le diverse interpretazioni di metodologia tra le due componenti etniche, con uno spreco di 14 milioni di euro. Le dispute demografiche sono purtroppo un altro ingrediente tipico delle crisi balcaniche. Tra una parte della cosiddetta “comunità non maggioritaria”, gli albanesi, continua ad aleggiare un altro fantasma, il sogno della “Grande Albania”, l’unione con i “connazionali” di Tirana e del Kosovo. In ogni caso, seppur parte della comunità albanese partecipi anche al Governo di Skopje, il conflitto etnico è rimasto latente in questi anni, come dimostra ad esempio il fallimento del piano Osce per l’istruzione integrata, naufragato nel 2010 a causa dell'opposizione della comunità albanese.

Il progetto prevedeva che i bambini albanesi studiassero anche il macedone dalla prima elementare, idea respinta dalla maggior parte dei genitori. La crisi economica, con stipendi medi intorno ai 450 euro e il tasso di disoccupazione al 32%, accresce la tensione sociale nel Paese che rimane uno dei più poveri d’Europa. Eppure, fin dal 2005, la Macedonia aveva ottenuto il fiore all’occhiello della candidatura ufficiale a membro Ue, ma il veto della Grecia ha continuamente bloccato l’ingresso nell’Unione. Atene contesta il nome Macedonia, ritenuto parte del patrimonio ellenico, e teme che Skopje possa avanzare pretese territoriali sulla provincia a nord della Grecia che porta lo stesso nome del Paese balcanico. Proprio a causa di tale disputa, Skopje fu accolta all’Onu col nome provvisorio di Fyrom (Former yugoslavian republic of Macedonia). Ora quell'idea potrebbe essere rilanciata dalla maggior debolezza della Grecia di fronte a Bruxelles, o addirittura dall'uscita di Atene dallEurozona. Nelle strade della capitale, si può facilmente leggere lo slogan “In Europa, ma da macedoni”. Infatti, in un momento in cui l’Unione Europea appare più fragile, anche nei Balcani rischia di perdere appeal. Secondo un sondaggio pubblicato nel 2011, per il 66% dei cittadini macedoni la priorità non è l’adesione europea, ma mantenere il nome costituzionale, una percentuale che cresce oltre l’80% se si considera solo l’etnia maggioritaria, gli slavi macedoni.

D’altro canto, negli ultimi anni, i principali sforzi del governo di Skopje sono stati indirizzati a dimostrare quanto antichi, vittoriosi e grandi siano i macedoni, diretti discendenti di Alessandro Magno. Intorno all’identità macedone è stato concepito il progetto “Skopje 2014”, un ambizioso piano di restyling che sta cambiando il volto alla capitale. Sono stati inaugurati imponenti palazzi in stile neoclassico e, soprattutto, una fontana e un’enorme statua di Alessandro nella piazza principale, a cui si accede da un nuovo arco trionfale. Per i sostenitori è il segno della rinascita culturale. Sicuramente, il segno di una deriva nazionalista. Ma nei Balcani, di norma, un nazionalismo non fa che risvegliarne un altro…    

Stefano Pasta
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