Le mamme Usa: basta con le armi!

Manifestazioni delle mamme in 11 città americane contro la vendita libera delle armi da fuoco. La posizione di Obama.

27/01/2013
Elisa Castiglioni durante le manifestazione (foto del servizio: Salimbeni).
Elisa Castiglioni durante le manifestazione (foto del servizio: Salimbeni).

Boston - “Venti case vuote, come solo le case rimaste improvvisamente senza bambini riescono a essere; venti zainetti vuoti, senza molliche, foglie o piccoli tesori; venti mamme e papà vuoti come solo i genitori orfani dei figli riescono ad essere … quando sarai grande potrai scegliere di mangiare la pizza tutte le sere e guardare la TV finche’ non ti cadono gli occhi dalle orbite … venti bambini non hanno avuto scelta, adesso di lavoro fanno gli angeli”.


Inizia così, con le parole di una poesia scritta per l’occasione, declamate senza amplificazione, dal punto più alto del piazzale avanti la State House (la sede del governo statale del Massachusetts) la versione bostoniana di MM4GC acronimo di: One Million Moms for Gun Control (un milione di mamme per il controllo delle armi). E le lacrime, inevitabili con la tragedia di Newtown ancora fresca nella memoria, quasi si gelano sulle gote delle centinaia di mamme – molte di loro con bambini, mariti e compagni al seguito – che hanno sfidato uno dei giorni più freddi dell’anno per dimostrare tutta la loro rabbia per una legislazione che permette praticamente a chiunque di comprare dove e quando vuole un fucile mitragliatore di quelli in dotazione all’esercito e falciare, in una scuola qualsiasi, come a Sandy Hook il 14 dicembre scorso 20 bambini in un colpo solo.

“Io non ci dormo la notte,” confessa Elisa Castiglioni, l’autrice del commovente testo che ha dato il la alla manifestazione, scrittrice freelance italiana, di Varese che da cinque anni (l’età della figlia) vive a Cohasset, benestante cittadina costiera a sud di Boston, “con le  chiesette, i prati verdi e le staccionate bianche, identico in tutto per tutto a Newtown,” riflette dove, come ha anche scritto in un giornale locale, aveva pensato addirittura di trasferirsi col marito qualche tempo fa. “Qui ci sono i menu per i bambini, i sedili per  non farli cadere a teatro, poi però alla loro sicurezza quella vera non ci pensa nessuno,” continua in un crescendo di toni frustrati, “gli americani secondo me non sono abbastanza arrabbiati e se lo sono non lo dimostrano come dovrebbero.” 


Anche tanti uomini alla marcia delle mamme contro le armi da fuoco.
Anche tanti uomini alla marcia delle mamme contro le armi da fuoco.

Difficile darle torto. Nonostante il nome, ambizioso, alle undici manifestazioni, tenute sabato scorso in tutta l’America il “milione di mamme” alla fine erano in tutto alcune migliaia.  La maggior parte ha marciato a Washington, evento principale del primo (probabilmente di una lunga serie) “rally” nazionale sull’argomento a cui hanno partecipato i fondatori - anzi le fondatrici – del movimento nato spontaneamente sull’onda dell’emozione per la strage di Newtown, che si propone (ambizioso come il suo nome) di affrontare un problema antico, radicato e spinoso, come il controllo sulla vendita la diffusione la detenzione e l’uso delle armi da fuoco. 

Sia chiaro, sulla piaga sono tutti d’accordo e non potrebbe essere altrimenti: la violenza armata in America miete oltre 12 mila vittime l’anno (più di 30 mila considerando i feriti) – un vero bollettino di guerra specie se paragonato ad altre zone “civilizzate” del mondo. Nell’Europa dell’euro ad esempio i morti per arma da fuoco nel 2010 sono stati 1,164, nella sola città di Chicago nello stesso periodo più di 500. Con l’ultimo incidente ( come lo chiamano qui) nell’Università di Houston, il 2013 ha già archiviato 5 sparatorie a scuola (quella di Newtown non figura in questa triste statistica perché successa nel 2012). 

Sulle soluzioni, tuttavia, la divergenza di vedute è totale: si va da chi le armi le abolirebbe del tutto ( e sono tanti anche se pochi – nessuno tra i politici - si azzarda a dirlo pubblicamente a causa del secondo emendamento della Costituzione che sancisce il diritto a possederle) a chi al contrario interpretando estensivamente quell’articolo pensa che la sicurezza nelle scuole  sarebbe garantita armando di mitra i bidelli. Questi ultimi sono fomentati dalla potente e ricca NRA, la National Rifle Association, in teoria l’associazione degli appassionati di armi, caccia e tirassegno sportivo, in pratica la potentissima lobby dei costruttori e dei venditori di uno dei pochi articoli Made in USA che non risente della crisi mondiale delle manifatture. 

Nel mezzo, un ventaglio di proposte (tutte controverse a prescindere da quanto blande) per abolire o almeno ridurre la vendita di armi automatiche, rafforzare i controlli (dalla fedina penale alla sanità mentale) sugli acquirenti e chiudere i “loopholes” (le scappatoie legali) che in almeno due terzi dei 50 stati permettono i “Gun Show” - le fiere di compravendita armi tra privati senza intermediari. A definire – e a complicare - gli schieramenti di una battaglia che comincia a coinvolgere anche le alte sfere istituzionali, oltre alla politica contribuisce anche e soprattutto la geografia. I tre americani – e le 4 famiglie – su 10 che dichiarano di possedere un'arma non votano ovviamente tutti repubblicano, dunque anche deputati e senatori democratici di alcuni Stati, specie quelli dell’Ovest particolarmente affezionati a fucili e pistole – o eletti in collegi rurali dove ad esempio la caccia è più popolare del baseball - quando si parla di armi ci vanno coi piedi di piombo. 

Ecco perché c’è da scommettere che anche i recenti decreti di Obama, e la proposta di legge della senatrice democratica Dianne Feinstein per limitare la vendita di mitra e lanciarazzi ai privati -  provvedimenti nemmeno rivoluzionari -  in parlamento avranno quantomeno vita dura. “Da qualche parte bisogna pur cominciare” ha detto il Deputato Edward Markey, uno dei rappresentanti del Massachusetts alla Camera federale, nel vento pungente di Boston, “e quale posto migliore per farlo che qui, da dove sono partiti tutti i grandi cambiamenti della nostra società, dall’emancipazione dei neri durante la guerra civile al processo per garantire il voto alle donne all’inizio del secolo scorso, dai movimenti per la fine della guerra in Vietnam e i diritti civili negli anni Sessanta alla legislazione che garantisce copertura sanitaria per tutti”, conclude tra gli applausi ovattati dai guanti. 

Tutto vero, le centinaia di mamme e papà venute a sfidare temperature da polo nord e mentalità da Far West lo sanno, come sanno che parlarne qui nello stato più a sinistra d’America dove le leggi sulle armi da fuoco non sono molto diverse da quelle europee è un conto, mentre convincere Camera e Senato a metter anche solo mano alla questione è ben altra impresa. Eppure ci credono: “In primavera con qualche grado di temperatura – e qualche giorno di organizzazione  in più faremo un'altra manifestazione e sono sicura che ci sarà molta più gente di oggi,” dice l’organizzatrice Dawn Tringas, casalinga, ex insegnante, madre di due bambini che, senza alcuna esperienza di politica attiva, si è trovata in due settimane dopo aver aperto una pagina Facebook a capo del comitato di Boston. “Nel frattempo inonderemo i nostri rappresentanti di telefonate, lettere, e mail,” continua, mentre le famiglie armate di cartelli e cuori di cartone cominciano a sfollare abbagliate da un sole che proprio non scalda. 

E conclude:  “In America ci sono 84 milioni di mamme e solo 4 milioni di membri dell’NRA – e sono convinta che quelle che la pensano come noi siano la maggioranza. Adesso bisogna solo smettere di essere maggioranza silenziosa. Oggi finalmente abbiamo cominciato a fare un po’ di rumore”. Chissà che i venti angeli di Newtown (gli ultimi di una lunghissima serie) non siano morti invano.

Stefano Salimbeni
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