22/12/2012
I due marò, da sinistra Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Foo Ansa.
Dopo dieci mesi di detenzione,
Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, i due marò imbarcati su una
petroliera che l’India accusa di aver ucciso due pescatori al largo
delle coste del Kerala, realizzano il sospirato rientro in Italia. Sabato 22 dicembre l'atterraggio a Ciampino, l'accoglienza da parte del ministro della Difesa Di Paola e di quello degli Esteri Terzi, l'udienza al Quirinale. Non è una liberazione definitiva ma un semplice permesso per Natale:
entro il 10 gennaio, dice l’Alta Corte dello Stato indiano,
dovranno ripresentarsi a Kochi, città
della loro prigionia, per
attendere che la giustizia locale faccia il suo corso.
Girone e Latorre incontrano Giorgio Napolitano, il che testimonia dell’importanza
che la questione ha assunto nel corso dei mesi e con l’intensificarsi
della polemica tra Italia e India. Due cose, al momento, sono
evidenti. I contorni dell’incidente, nonostante che lo Stato del
Kerala abbia nominato un’apposita task force per le
indagini, non sono affatto chiariti: i marò sostengono che
l’atteggiamento delle barche di pescatori era ostile, un episodio
di pirateria; le autorità indiane li accusano di omicidio. Colposo
se i marò hanno letto male la situazione in mare, doloso se
volontario (ma non si capisce bene perché i nostri soldati avrebbero
dovuto sparare sui marinai).
Foto Ansa.
L’altro fatto evidente è che l’India ha cercato e trovato la prova di forza, il braccio di ferro politico e diplomatico. Fino all’ultimo, perché la “licenza natalizia” fatta pagare al nostro Stato 826 mila euro, senza tener conto del fatto che l’Italia è un Paese amico e che i due italiani si erano pur sempre consegnati spontaneamente nel porto di Kochi, ha i tratti dell’umiliazione inflitta in piena coscienza. In tutti questi fatti molti, e certo con troppa fretta, hanno voluto scoprire un fallimento della nostra diplomazia. Il che è vero e falso allo stesso tempo. Il dramma che ha coinvolto i marò italiani e i pescatori indiani non avrebbe mai avuto luogo se la petroliera italiana, come moltissime navi mercantili di ogni nazione e bandiera, non fosse stata costretta a imbarcare uomini armati per difendere il carico e l’equipaggio dagli assalti dei pirati. E sulla pirateria, che prospera al largo degli Stati falliti (come la Somalia) o degli Stati che non riescono a proteggere il mare (e qui qualcosa si potrebbe dire anche dell’India), ha mancato non certo l’Italia, sempre in prima linea nei pattugliamenti contro la pirateria somala,
ma la comunità internazionale tutta.
Persino la Convenzione internazionale sul Diritto del mare non chiarisce fino in fondo se sia un obbligo giudicare i responsabili di atti di pirateria né quale Stato sia obbligato a farlo.
Inoltre: nello scontro diplomatico Italia e India è plasticamente rappresentato lo spostamento di equilibrio politico cui il pianeta intero è stato sottoposto negli due decenni, cioè nel periodo in cui
Paesi come Brasile, Cina e India sono passati con un balzo dal sottosviluppo al massimo sviluppo. L’India per le cui carestie si organizzavano regolari collette quand’eravamo ragazzi, vanta oggi il quinto Prodotto interno lordo del mondo per valore assoluto (4.421 trilioni di dollari nel 2011) e un ruolo strategico (basta pensare ai suoi vicini Cina, Pakistan, Afghanistan…) di enorme significato.
Sono loro, oggi, i giganti. Sono loro i bulli del quartiere. Non certo l’Italia. Dimenticarlo serve tutt’al più a consolarci. Ricordarlo serve invece a valutare meglio successi e insuccessi e a riflettere su quanto ci costi, in ogni senso, l’assenza anche solo di un abbozzo di politica estera comune all’Europa. Il 2012 ci ha dato la perfetta rappresentazione di un continente che, sia pure tra mille difficoltà e polemiche, riesce comunque a compattarsi intorno alla moneta unica ma è rapido a dividersi su qualunque altra questione, dalla politica fiscale alla strategia di difesa. Mentre solo l’unione, nel quartiere chiamato mondo dove i bulli sono più numerosi e più aggressivi di prima, potrebbe fare la forza. E la forza, alla lunga, tramutarsi in potenza anche economica.
Fulvio Scaglione