08/05/2012
Lo sbarco dei profughi a Malta (foto: Times of Malta. Copertina: Reuters).
Nel Cimitero Mediterraneo si
continua a morire. “Stavo bevendo un bicchiere di vino in un angolo della
spiaggia quando ho visto un gommone che andava alla deriva sulla costa. È stato
veramente surreale”, ha raccontato uno dei primi soccorritori degli 88 profughi,
provenienti dal Ciad e dalla Somalia, naufragati domenica mattina a Ghajn
Tuffieha, una delle più note spiagge di Malta. Effettivamente lo sbarco è stato
surreale: è avvenuto nel bel mezzo di una festa in riva al mare a cui
partecipavano un centinaio di persone.
Hanno subito portato soccorso ai
profughi, tra cui 20 donne e 4 bambini, prima che la polizia maltese arrestasse
i naufraghi per ingresso illegale nel Paese. Un viaggio, iniziato tre giorni
prima in Libia, segnato da fame, sete e paura, ma soprattutto dal dolore: i
migranti hanno raccontato di aver dovuto buttare in mare i cadaveri di 7
connazionali morti di stenti durante la traversata.
Si tratta del terzo sbarco a
Malta in quest’ultima settimana. Ma le rotte dei viaggi della speranza legano
le coste maltesi a quelle italiane, così come il conteggio dei cadaveri. Il 29
aprile, sulle coste agrigentine, a Licata, si è concluso in maniera tragica uno
sbarco di una ventina di egiziani: un ragazzo di 16 anni, obbligato dagli
scafisti a buttarsi in mare, è annegato perché non sapeva nuotare. Il giorno
prima, nella Locride, un episodio simile: 40 afghani, partiti dalla Grecia in
nave e portati poi in gommone fino a 250 metri dalla riva, erano stati costretti a
proseguire a nuoto. Il bilancio: un morto e due feriti gravi.
L’Afganistan era
anche la terra di partenza di Alì, 16 anni, ritrovato senza vita il 2 maggio
nel vano di un camion, morto asfissiato per il caldo e per la mancanza di
ossigeno. Insieme a due fratelli, si era nascosto a bordo di un traghetto di
linea partito dalla Grecia e diretto a Venezia. Non aveva nulla con sé: aveva
addosso solo un paio di mutande.
Spesso si fa a gara a contare
quanti “clandestini” sbarcano, pronti a gridare all’invasore. E spesso il
terribile invasore è un sedicenne disperato, magari in mutande. Ma quanti sono
quelli che non sono arrivati? Il bollettino dei caduti ai confini della
Fortezza Europa va aggiornato di giorno in giorno. Fortress Europe, un
osservatorio online sulle vittime dell’immigrazione, calcola che dal 1988 siamo
morte lungo le frontiere del nostro continente almeno 18.267 persone. 2.352
soltanto nel corso del 2011. Ma il dato reale è sicuramente molto più grande,
poiché nessuno sa quanti siano i caduti di cui non abbiamo mai avuto notizia.
Lo sanno soltanto le famiglie dei dispersi, che dalla Tunisia all’Afghanistan,
si chiedono da anni che fine abbiano fatto i loro figli partiti un bel giorno
per l’Europa e mai più tornati.
Dice Gabriele del Grande, curatore di Fortress
Europe: “Muoiono giorno dopo giorno. Anno dopo anno. E i loro corpi finiscono
nell’oblio delle coscienze, seppelliti in fondo al cimitero Mediterraneo.
Mangiati dai pesci e accatastati sopra le tubature dei gasdotti che sembrano a
volte l’unico ponte rimasto tra le due rive”.
Stefano Pasta