Melissa, morire a 16 anni

Il parroco: "Era una ragazza straordinaria, piena di vita. Negli ultimi tempi si erano moltiplicati episodi di violenza nella nostra terra. Ma nessuno immaginava un atto così vile".

19/05/2012
Un'altra foto di Melissa Bassi su Facebook. (foto sopra e di copertina: Ansa).
Un'altra foto di Melissa Bassi su Facebook. (foto sopra e di copertina: Ansa).

Doveva preparare una sfilata di moda per sabato mattina Melissa Bassi, 16 anni, insieme alle sue compagne dell’istituto professionale femminile “Falcone-Morvillo” di Brindisi. Per questo motivo era arrivata qualche minuto prima a scuola dopo aver preso il pulman da Mesagne, dove era nata e abitava, insieme alle altre ragazze. La sfilata doveva tenersi in un teatro vicino alla scuola e per questo il preside aveva dato appuntamento ai ragazzi direttamente al teatro.


L’esplosione, innescata da tre bombole di Gpl, ha colpito in pieno Melissa. In ospedale è arrivata quando ormai non c’era più nulla da fare. Le altre amiche che hanno riportato ustioni gravi si sono salvate solo perché erano poco più distanti. Una di loro stava parlando al telefono con il ragazzo e quindi è riuscita ad evitare, in parte, l’impatto devastante. Il timer delle bombe era fissato per le 7.55 ma è esploso dieci minuti prima, attorno alle 7.45. «Poteva essere una strage, volevano uccidere», dice sgomento il preside dell’istituto Angelo Rampino. Melissa Bassi era figlia unica. Papà operaio e madre casalinga. «Solo quella avevano. L’hanno portata via ai genitori nel modo più ignobile e crudele. Ma come si fa? Maledetti assassini», si dispera una zia della ragazza davanti all’ospedale Perrino di Brindisi. 

«Che male hanno fatto questi bambini», si dispera ancora la donna, «maledetti, maledetti». Selena Greco, la migliore amica della vittima, subito dopo l’esplosione ha riportato gravissime ustioni. Nonostante questo, è riuscita ad alzarsi e gridare subito aiuto. Poi ha lanciato un urlo disperato: «Melissa, Melissa…». «Era tutto nero. C’era sangue ovunque. Non si capiva più nulla», racconta un’altra ragazza che dalla strage si è salvata solo per caso perché in quel momento era nel bar di fronte alla scuola: «Dal vetro ho visto tutto. Ho sentito le urla, è stato veramente terribile», dice. Tutti i feriti sono di Mesagne. Una comunità colpita al cuore ed epicentro, negli ultimi mesi, di una riorganizzazione dei clan della Sacra Corona Unita anche se la pista della mafia locale è tutta ancora da vagliare. 

Il parroco della Chiesa di Ognissanti di Mesagne, don Pietro De Punzio, ricorda: «Melissa era una ragazza piena di gioia di vivere». Il parroco ricollega questo attentato ad altri inquietanti segnali avuti in città negli ultimi giorni: l’intimidazione al presidente dell’associazione antiracket locale qualche settimana fa e l’arrivo in città della Carovana della Legalità per ricordare l’anniversario della strage di Capaci. «Tutti episodi gravi e preoccupanti, certo, ma che non credevamo mai potessero sfociare in questo atto così vile», conclude don Pietro. La rabbia dei genitori dei feriti e degli altri ragazzi della scuola si mescola al dolore e alla disperazione: «Hanno voluto fare del male ai ragazzi mentre, forse, sono le istituzioni che si dovrebbero colpire visto come si sono ridotte in questo periodo», si sfoga con i cronisti il padre di un’altra ragazza ferita, «potevano far esplodere la bomba di notte e far saltare in aria la scuola quando non c’era più nessuno. Invece no. Volevano uccidere e fare una vera e propria strage». 

Un’altra ragazza, Veronica Capodieci, 15 anni, lotta tra la vita e la morte dopo aver subito un delicato intervento chirurgico. È stato Facebook, come sempre accade in questi casi, a fare da cassa di risonanza immediata della solidarietà e dell’indignazione. Molti i messaggi di affetto sulla bacheca della pagina personale di Melissa Bassi. Poche ore dopo, è stata creata un’altra pagina, con il nome e la foto della ragazza, classificata come “Personaggio pubblico”, per permettere a chiunque di lasciare il proprio messaggio di dolore e d’indignazione.

Antonio Sanfrancesco
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Postato da Celso Vassalini il 20/05/2012 17:18

Mentre ancora metabolizzavo della clamorosa sentenza sulla strage di Piazza della Loggia dove allora lo Stato non seppe proteggere i suoi figli adulti seppelliti senza verità. Nell'apprendere la notizia del tragico pensavo ancora una volta non siamo stati in grado di proteggere i nostri ragazzi dalla volontà assassina che ha prescelto, con logica disumana, ragazzi inermi come bersaglio. Se il nostro Paese (e intendo gli individui che popolano questo nostro Paese) avesse bisogno di verità, la verità si sarebbe trovata, non solo nei suoi aspetti genericamente politici, ma anche nei suoi aspetti materiali (i colpevoli: una categoria che manzonianamente com-prende i peccatori e gli istigatori al peccato. Gli esecutori e i mandanti). Il tempo per trovare la verità c’era e ci è stato con¬cesso. La mia generazione avrebbe potuto smetterla di vivere di rimpianti (le marce, le assemblee ver-bose, la rivoluzione permanente, gli hasta siempre, i titanici assalti al cielo). Avrebbe potuto compiere un passo: andare alla ricerca –per quanto è umanamente possibile– della verità. In modo accanito, permanente, radicale, ininterrotto. Non è stato così, se non in modo superficiale. La nostra esperienza, evedentemente, non è stata per noi così importante. E se una generazione dimostra di non nutrire interesse per la propria esperienza, vuol dire che non ha interesse per nessuna altra esperienza umana. Non ha bisogno di verità. Piazza della Loggia è metafora di una ferita che segna la mia generazione e che è destinata a non rimarginarsi mai. Mi sento percorso da emozioni che fatico a tenere a bada. La sentenza su Piazza della Loggia è metafora di una realtà che ha segnato una generazione e gli individui che la compongono (una generazione è composta da individui, dopotutto, e que-sto non dobbiamo mai scordarlo). E’ la prima volta che viene colpita una scuola”, ”un segnale che loro, i criminali, ci sono ancora”. Dal mondo dei giovani e dell’istruzione, si sottolinea infatti, ”sono nati i veri, grandi movimenti di orgoglio e di lotta contro la passività delle generazioni precedenti’. Un attentato con il quale è stato colpito il simbolo dell’innocenza”. Si è arrivati a colpire la scuola, il simbolo dell’innocenza e della voglia di progresso. E’ una situazione che non desta solo preoccupazione, fa piombare nell’angoscia. E prevale un sentimento di rabbia per giovani vite innocenti strappate. Rispetto ad azioni di tale entità, non è accettabile che si possa morire da innocenti mentre si raggiunge la scuola, il luogo del sapere. E' evidente l’intenzione di ammazzare delle vittime innocenti, adesso è il momento di reagire in maniera unanime e compatta, senza retorica. Urge reagire per porre fine ad ogni azione violenta ed illegale. E’ necessario continuare nell’azione antimafia soprattutto tra le giovani generazioni. Dobbiamo risvegliare le coscienze e tenere sempre alta la guardia. La mafia teme più un maestro di scuola che cento carabinieri, diceva il giudice Caponnetto, l’attentato di oggi ne è la dimostrazione. Nessun colpevole! Nessun colpevole! Nessun colpevole!. Il ritornello della giustizia formale si ripete nelle aule dei tribunali, dove da quasi 40 anni si cerca di scoprire i mandanti e gli esecutori delle “Stragi di Stato”, che hanno insanguinato il nostro paese, procurato morti, feriti e dolore. Che hanno impedito il regolare corso della democrazia in Italia, bloccando per oltre due decenni qualsiasi cambiamento nei vertici del potere politico e istituzionale. Nel profondo di una crisi economica, sociale, politica e culturale, quest’ennesimo schiaffo al popolo italiano suona come una beffa, un insulto alla razionalità e alla “verità popolare. Ricordo e porto nel mio cuore la testimonianza del Beato Papa Giovanni Paolo II "Mafiosi pentitevi, verrà il giorno del Giudizio di Dio". Alzò la sua voce possente dalla collina di Agrigento contro il maleficio storico che affligge questo Paese che lui amava, questa Paese che lo emozionava per i suoi contrasti, per la sua natura resa matrigna dalla mano dell’uomo, per quegli uomini che sapevano non arrendersi. Ed in ogni occasione seppe toccare tutti noi. Le sue visite furono vissute tra la gente e per la gente, compromesse con le tragedie ed i mali antichi e moderni di questo popolo. Seppe perdonare con dolcezza e tuonare, come Gesù nel Tempio, contro il tumore inarginabile. Abbracciò i genitori del giudice Livatino pronunciando una frase di indiscutibile laicità “Non posso non ricordare i figli d’ Italia caduti per affermare gli ideali di giustizia e di legalità”. Giustizia e legalità su questa terra, ora, in questa vita terrena e non nel regno dei cieli. Un’umana esigenza, poco trascendente, ma dalla quale deve sempre passare la strada per il Paradiso dei cristiani. Grazie al Beato Papa Giovanni Paolo II Giustizia e legalità, ancora una volta e per sempre riaffermate come irrinunciabili valori civili. Ridiede vita al celebre discorso “Sagunto espugnata” che il cardinale Pappalardo aveva pronunciato davanti alla bara di Dalla Chiesa. In questa terra l’Italia che amava seppe essere violento con chi di violenza e sopruso campava, non negò il perdono a chi si fosse convertito nel corso della vita terrena, nulla concesse ai mafiosi che inchiodò con il perentorio “Mafiosi pentitevi, verrà il giorno del Giudizio di Dio” puntando il suo indice accusatorio. Ogni mattina ho l’onore di passare da Piazza della Loggia ricordando piazza Fontana, la stazione di Bologna, a Capaci, oggi Ancora una volta non siamo stati in grado di proteggere i nostri ragazzi arrivederci Uomini e Donne senza verità... ciao Melissa. Perdonaci se quelli della mia generazione non siamo stati capaci di tutelarti.. perdonaci. Celso Vassalini Brescia 19 maggio 2012.

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