16/04/2010
Il mio Moggi sono due, nessuno della Juventus. Moggi 1 è il direttore generale del mio Toro, mi disse “vieni ad Amsterdam, vinciamo l'Uefa”, non ci andai, stavo a San Diego per la finzione giornalistica (non si vede nulla, si sa poco, si scrive troppo) della Coppa America di vela, il Toro prese tre pali, Coppa all'Ajax. Il mio tormento o addirittura il mio debito con Moggi è che - lo sento, e in spagnolo “lo siento” vuol dire “mi dispiace” - con me quella sera allo stadio almeno un palo sarebbe stato un gol, decisivo.
Moggi 2 è il direttore generale del Napoli: a Capodichino, il volo per Mosca, Coppa dei Campioni, non decolla perché non c'è Maradona che è a casa, strafatto di cosacce. Moggi è un mago a gestire l'attesa, le domande (Diego volerà a Mosca il giorno dopo su un aereo privato, giocherà poco e male, Napoli fuori): mi godo il grandissimo attore.
Moggi 3, quello della Juventus, non è mio, è di un po' tutti, compresi i giudici che lo hanno giustamente condannato, è della storia del calcio, a cui lui ha dato un contributo grosso, negativo ma grosso. Mi piacerebbe parlarne con lui, fra l'altro buon umorista, ma credo di essermelo bruciato.
Mi sto costruendo in mente Moggi 4 che potrebbe segnare epocalmente il mondo del pallone, dicendo tutto ma proprio tutto, lui che sa tutto di tutto, altro che Inter. Temo che non lo farà, preferendo il gran fango ma spalmatissimo, ergo non letale. Si dice cristiano, ha sempre con sé il santino di Padre Pio, ma non è per lui la parabola dei talenti, col padrone che invita il servo a guardare al proprio guadagno (colpa, in questo caso), non a quello degli altri.
Un mio Moggi accettabile dovrebbe considerare le colpe sue, ammetterle, scontarle e amen; quello ideale dovrebbe, senza cercare salvezza o attenuanti personali, distruggere un mondo marcio, e requiem.
Gian Paolo Ormezzano