Nuovi italiani in cerca di diritti

La legge attuale sulla cittadinanza fotografa un’Italia che non c’è più: la concede a chi discende da emigranti e la nega ai minori nati nel Paese.

14/03/2011

  “Sì, se guardo i documenti, sono straniero, immigrato. Ma nella mia vita sono migrato solo una volta: quando, a 5 anni, la mia famiglia si è trasferita da Firenze a Borgo San Lorenzo... Una migrazione di ben 30 chilometri!” Alex, 16 anni, è nato in Italia da genitori albanesi. Spiega con accento toscano: “Frequento il liceo linguistico, tifo la Fiorentina, ascolto Tiziano Ferro.” Alex è uno dei “nuovi italiani”, che il Presidente Napolitano ha recentemente chiamato “fattore di freschezza e forza”. 900.000 ragazzi di origine straniera, di cui 520.000 nati in Italia, sono i giovani made in Italy che hanno salvato il tasso demografico del nostro Paese.

È una realtà già nei fatti: nei quartieri delle città, nelle scuole, negli asili, negli oratori, nella realtà associative delle seconde generazioni. Quest’anno i figli degli immigrati sono l’11% di tutti gli iscritti alla prima elementare; nel 2015, il dato salirà al 17%. Nuovi italiani, eppure ancor stranieri: senza cittadinanza, con meno diritti, cittadini di serie B.   La nostra legge sulla cittadinanza, infatti, è anacronistica. È del 1992, ma conserva l’impianto della legge del 1912, quando si voleva conservare il diritto di sangue italiano in un’epoca di emigrazione. Così, Pablo, 27 anni, nato e cresciuto a Buenos Aires, ha la cittadinanza italiana,  anche se non parla italiano, non è mai stato nel nostro Paese e non sa il nome del Presidente della Repubblica. Spiega il motivo di questo passaporto: “Nel 1910, il mio bisnonno partì dalla provincia di Padova per emigrare in Argentina.“

La legge attuale fotografa un’Italia che non c’è più: dà la cittadinanza a chi discende da emigranti e la nega ai minori che frequentano la nostra scuola e si sentono italiani. Sono ormai diverse le voci a favore di una riforma basata sullo ius soli, che preveda la cittadinanza per chi sia nato o abbia frequentato un intero ciclo di studi nel territorio nazionale. Non mancano, però, voci contrarie. A febbraio, il sindaco leghista di Romano di Lombardia (Bg) ha licenziato il preside di una scuola paritaria perché aveva assunto una bidella albanese residente in Italia da oltre 18 anni.  Occorre rispondere alla domanda se i “nuovi italiani” siano parte del nostro Paese.

Non è una questione scontata. I giovani di origine straniera si sentono italiani: è lo sguardo di chi li osserva che li rende a volte stranieri nella propria stessa terra. È una convinzione superficiale, peraltro diffusa, che tutto dipenda solo dalla buona volontà dei figli dell’immigrazione. Molto dipenderà invece dai nostri sguardi e dal tipo di occasioni che l’Italia sarà disposta a concedere loro. Corrisponde al comune interesse di tutti – vecchi e nuovi italiani - che l’appartenenza  di questi giovani alla comunità nazionale sia confermata dal riconoscimento pieno e formale della cittadinanza. In questi giorni festeggiamo l’Unità d’Italia e ripensiamo ai concetti di patria e di identità nazionale. L’Italia di oggi è già, che ci piaccia o no, multietnica e meticcia.  Rimane ancora molto attuale il motto di 150 anni fa: “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani.”    

Stefano Pasta
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