Obama e l'America dei prof

Il presidente ha cercato deliberatamente di ignorare lo sciopero degli insegnanti di Chicago, che mettevano in discussione proprio una delle sue riforme. E continua a farlo.

08/10/2012
La protesta dei prof di Chicago.
La protesta dei prof di Chicago.

Uno dei cartelli portati in piazza durante lo sciopero degli insegnanti di Chicago pregava: "Obama non ci ignorare". In realtà, tacere era l'unica carta che Barack Obama poteva giocarsi per non trascinare lo scontro con i sindacati sotto i riflettori impietosi della campagna elettorale. Ed è esattamente quello che ha fatto. Per tutti gli otto giorni in cui 29 mila professori non sono entrati in classe, dalla Casa Bianca non è arrivata una sola dichiarazione di intenti, un'indicazione, un commento. E il silenzio continua. Davanti al primo sciopero della categoria in 25 anni, Obama aveva davvero le mani legate - e quindi la bocca cucita.

Non solo perché il sindaco di Chicago Rahm Emanuel - che i leader sindacali hanno definito "un bulletto bugiardo"- è stato il suo capo di gabinetto ed è anche responsabile della raccolta fondi per la sua campagna elettorale. A mettere Obama tra l'incudine e il martello -alienare il sindacato e i suoi elettori o esporsi alle critiche dei repubblicani rinnegando la propria azione di governo- è il fatto che alcuni dei cambiamenti chiesti dal sindaco Emanuel si rifanno esattamente alla riforma dell'istruzione voluta da Obama nel 2009 e scritta da Arne Duncan, responsabile dell'istruzione al suo governo ed ex provveditore scolastico proprio di Chicago. Con l'intento di risollevare un sistema scolastico che fa acqua da tutte le parti, il presidente ha provato a puntare sul merito, concedendo più fondi pubblici alle scuole che valutano gli insegnanti in base ai voti degli alunni.

 Ed è stato proprio il metodo di valutazione il principale motore della protesta, più delle rivendicazioni salariali. Secondo il sindacato, avrebbe significato licenziare almeno seimila professori alla fine dell'anno, e non necessariamente i peggiori. Una delle vittorie rivendicate oggi è quella di aver reso i voti degli alunni un po' meno rilevanti nella valutazione di fine anno. L'80% degli studenti delle scuole pubbliche viene da famiglie a basso reddito, e per gli insegnanti sarebbe più obiettivo considerare i progressi fatti durante l'anno. "Da noi arrivano ragazzi di quattordici anni che sanno appena leggere, e per quanto io possa impegnarmi, servono anni per recuperare", dice Amanda Richey, che insegna Storia in una charter school (istituti autonomi che ricevono però fondi pubblici) in uno dei quartieri peggiori di Chicago, dove il tasso di abbandono è del 55%; solo sei studenti su 100 arrivano poi alla laurea, e tra gli afroamericani si scende al 3%. I suoi allievi provengono da famiglie disastrate, alcuni vivono in case senza elettricità e molti hanno i genitori in carcere. L'ultima cosa di cui hanno bisogno, dice, è una fuga di massa dalle cattedre "difficili" per paura dei licenziamenti.

Durante lo sciopero, in quei quartieri molti ragazzini non avevano alternative che andare a zonzo per la città, tanto che il Chicago Police Department ha mandato in pattuglia anche il personale generalmente addetto a mansioni di ufficio. Alcuni uffici hanno ingaggiato animatori e tutor per tenere occupata la prole di dipendenti che altrimenti si sarebbero assentati, ma dopo i primi giorni le famiglie dei 350mila studenti rimasti fuori dalle aule hanno smesso di fare il tifo per i professori e il sindacato. Se quest'ultimo faccia ancora il tifo per Obama, resta da vedere. Già ad agosto c'era stata qualche tensione con l'AFL-Cio (organizzazione che raccoglie tredici milioni di lavoratori e 64 sigle diverse) il che non aveva gradito la scelta di tenere la convention democratica a Charlotte, perché il Nord Carolina è uno dei ventitré stati in cui la legge chiamata "right to work" rende complicata l'organizzazione e il reclutamento sindacale. Con i sondaggi ancora così incerti e con Romney che lo tallona, soprattutto dopo il primo dei duelli in Tv, Obama non può certo permettersi di rischiare.

Claudia Andreozzi
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