Obama II, svolta a sinistra

Il secondo mandato presidenziale inaugurato con un discorso energico che ha elencato le priorità politiche per gli Usa.

22/01/2013
Michelle e Barack Obama al ballo inaugurale (foto del servizio: Reuters).
Michelle e Barack Obama al ballo inaugurale (foto del servizio: Reuters).

Ambiente, diritti delle donne, dei gay e degli immigrati, pensioni e investimenti produttivi, unita nazionale: è sostanzialmente un discorso programmatico quello con cui Barack Obama correda il giuramento per il secondo mandato di fronte a una folla di oltre 800,000 persone, che nel giorno in cui l’America celebra Martin Luther King non può non ricordare quella che 50 anni fa  ascoltò esattamente qui, le famose parole “I have a dream” ( Io ho un sogno) pronunciate dall’eroe afroamericano per eccellenza.  

In verità c’erano tutte le premesse per un intervento di circostanza (di quelli in cui i politici americani sono maestri mondiali) pieno di grandi ideali e di belle parole, che mettono tutti d’accordo senza alla fine dire granché.  Dopo tutto, la sua presenza sul palco di fronte al National Mall di Washington - i due chilometri di prato su cui si affacciano le sedi delle maggiori istituzioni americane - rappresenta,  in parte,  la realizzazione del sogno del reverendo King, e  il cerimoniale pomposo e rigido (immutato dai tempi di George Washington eccezion fatta per qualche particolare tecnologico come i teleprompter e le limousine) sembra fatto apposta per una festa tipo Giorno del Ringraziamento, quando (come hanno fatto giustamente notare alla CNN) le famiglie, dopo aver litigato per un anno, si mettono comunque a tavola tutte insieme per mangiare il tacchino.  

Invece, sorprendendo un pò tutti, il neo-rieletto presidente mette da parte la retorica e va subito al punto. Proprio come il leader del movimento per i diritti civili mezzo secolo fa, Obama parte dalla dichiarazione d’indipendenza sottolineandone l’attualità. Il fatto che tutti nascono uguali davanti a Dio e tali devono essere davanti alla legge, esordisce,  sarà anche “self evident” (evidente e ineluttabile) ma di certo non è “self-executing” (non si realizza automaticamente). Sta agli uomini e ai governi di cui fanno parte metterlo in pratica adattandolo ai tempi.  

Da qui a una lista di priorità per il suo secondo mandato (quasi un preludio del discorso sullo Stato dell’Unione che pronuncerà fra tre settimane a Camere riunite) il passo è breve.  Senza scendere troppo in particolari (l’occasione e soprattutto i tempi non lo permettevano) Obama parla di ambiente, di riscaldamento globale, di energie rinnovabili : “Tutte questioni – aggiunge con una frecciata a destra -  su cui la scienza mondiale si è ampiamente pronunciata e in questo senso l’America dovrebbe guidare e non ostacolare il progresso”.  

Poi mette nella stessa frase Seneca Falls, Selma, e Stonewall, tre luoghi simbolo delle battaglie per i diritti rispettivamente delle donne, dei neri e dei gay. A queste “minoranze” ancora secondo lui discriminate, aggiunge gli immigrati: preludio a una riforma già in preparazione da tempo ma, proprio come per le armi da fuoco, osteggiata dai Repubblicani in Congresso – specie alla Camera dove con la nuova legislatura manterranno per altri due anni  la maggioranza.   E a proposito di riforme osteggiate continua dicendo: “Non possiamo accettare di scegliere tra chi questa nazione l’ha costruita e chi la costruirà  in futuro” … e qui chi ha orecchie da intendere intende benissimo il riferimento alla spesa pubblica (sanità, pensioni, infrastrutture, ricerca) la cui entità è al centro del prossimo, incombente, dibattito parlamentare sul tetto del debito, che già si annuncia all’ultimo voto.  

Infine, l’ultima stoccata ai falchi in politica estera: “Pur vigili contro chi vuol farci del male cercheremo in tutti i modi di risolvere le differenze con le altre nazioni in modo pacifico, non perché sottovalutiamo i pericoli ma perché crediamo che la collaborazione porti molto più lontano delle armi”.   Insomma, al di là dell’impressionante mare di teste e di bandierine, delle performance dei cori polifonici e delle rock star - da James Taylor a Beyonce - a fare da cornice agli abbracci e ai ringraziamenti di rito tra politici, si intravede un secondo mandato tutt’altro che facile per il 44 esimo presidente, il tredicesimo ad avere la possibilità di un “bis”.  

Dopo aver iniziato, nel 2009, il suo primo quadriennio all’insegna della collaborazione bipartisan  – quando di fatto avrebbe avuto i numeri, in Parlamento e nell’opinione pubblica,  per fare il contrario – Obama inaugura il secondo con una chiara “svolta a sinistra” -  con una Camera, tuttavia, a maggioranza avversa, una corte Suprema con 5 giudici su 9 nominati da presidenti repubblicani, e una nazione provata dalla peggior crisi economica del dopoguerra e frustrata da continue promesse, finora non mantenute, di ripresa.   

Ben venga, per carità una giornata come quella di oggi - una sorta di 4 luglio fuori stagione, con gli americani, politici e non, bardati di stelle e di strisce, che sembrano lasciar da parte le divisioni per celebrare la propria democrazia, “una cosa di cui essere fieri e mai dare per scontata” come ha detto giustamente il senatore Charles Schumer, maestro di cerimonie per l’occasione.  E ben venga anche il fatto che, nel giorno della sua festa, l’America non avrebbe potuto fare a Martin Luther King regalo migliore.    

Eppure, guardando il Presidente scendere dalla limousine e percorrere a piedi, tra due ali di folla urlante, gli ultimi metri di Pennsylvania Avenue fino al civico 1600, dove abiterà per altri 4 anni, non si può fare a meno di pensare che alla grande famiglia della politica americana  (molto più disfunzionale di quanto cerchi di dare a vedere) non ci vorrà molto a digerire anche questo “tacchino” e ricominciare a litigare come – e forse peggio di - prima.                

Stefano Salimbeni
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