Lavoro, l'allarme di Carniti

Per il leader storico della Cisl "Le nuove norme sono discutibili e pericolose. Non vorrei che si tornasse ai licenziamenti basati su un cenno del caporeparto".

24/03/2012
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero.
Il ministro del Lavoro Elsa Fornero.

«Spero in un “ravvedimento operoso”. Il fatto che sia stato usato lo strumento del disegno di legge piuttosto che del decreto legge, e che il testo sia stato approvato con la formula “salvo diverse intese” mi fa avere fiducia in una discussione e in un confronto che possano portare a dei cambiamenti». Pierre Carniti, leader storico della Cisl e fondatore, con Ermanno Gorrieri dei Cristiano sociali, nutre «preoccupazioni e dubbi sul provvedimento appena varato dal Consiglio dei ministri, in particolare per quanto attiene alla fattispecie dei licenziamenti con motivazioni economiche».

Perché questi dubbi?

«Perché questo tipo di licenziamenti  possono essere strumentali per nascondere altri obiettivi. Sembrava, all’inizio, che il governo fosse orientato a una formulazione che rimetteva al giudice la valutazione dell’esistenza di ragioni economiche. Qualora il giudice non  le avesse ritenute fondate avrebbe potuto, anche in quel caso, potuto comminare il reintegro. Adesso invece l’onere della prova spetterebbe al lavoratore. In ogni caso mi sfugge il perché è stato sollevato questo problema dell’art. 18 considerato che i casi di reintegro in Italia negli ultimi anni sono state poche decine. Non ho capito a chi e a cosa, in generale per il Paese, serve questo intervento».

Si dice per rilanciare l’economia.

«È una presunzione attribuire a queste modifiche una funzione salvifica per gli investimenti, per l’economia, per i tassi di interesse. Questo tema non ha nessun riflesso sulla dinamica produttiva, economica, sull’occupazione, non sposta di una virgola la crescita».

E invece cosa succederà? I licenziamenti diventeranno più numerosi?

«Spero che non si torni al licenziamento ad nutum, cioè al cenno, che esisteva fino al 1966. In pratica il caporeparto passava tra gli operai e indicava chi doveva lasciare il lavoro.  L’articolo 18 riguarda i licenziamenti individuali. Da quando è entrato in vigore ha riguardato pochi, pochissimi casi l’anno, in tutto non più di una sessantina. E questo anche perché la norma ha funzionato da deterrente contro i licenziamenti senza giusta causa o giustificato motivo. Si scoraggiavano tendenze imprenditoriali un po’ scriteriate. Spero che non saranno mai approvate le norme nei termini nei quali sono state formulate perché sarebbe una cosa folle. Immagino che con il tempo necessario e i canali utilizzabili siano introdotti i correttivi che impediscano questo uso dissennato a cui lei ha fatto cenno».

Finora l’articolo 18 aveva funzionato?

«È stato, anzi è, perché spero che resti, una deterrenza nei licenziamenti individuali per sbarrare la strada ai licenziamenti discriminatori, frutto di pregiudizi, di antipatie. Le modifiche all’articolo 18 possono costituire  uno scivolo per consentire a ogni azienda di disfarsi delle persone e dei lavoratori non graditi. Non so se questa è l’intenzione vera del Governo. Forse è stata fatta questa sciocchezza con modalità preterintenzionali. Si pensava che la modernità, nell’impresa, dovesse o potesse consentire procedure più facili di licenziamento individuale. Questa è un’assurdità che non risolve nessun problema, se non i pregiudizi di tipo ideologico di chi ha presentato questo problema come discriminante per il datore di lavoro e per la sua attività. Sono tutte bubbole».

Quindi si cerca di licenziare più facilmente?

«Io non ho elementi per dire che il Governo ha perseguito consapevolmente l’obiettivo di aprire la strada ai  licenziamenti facili di tipo individuale, ma, quantunque la sua fosse stata una scelta di tipo preterintenzionale, è un errore grave lo stesso. Non siamo a un progresso, ma a un regresso sia sul piano delle relazioni tra le parti sociali, sia sul piano della civiltà del Paese».

Ma qualcosa bisognava fare sul tema del lavoro.

«Il problema drammatico non sono i licenziamenti individuali, ma quelli collettivi, quelli delle fabbriche in difficoltà che chiudono e che mettono sul lastrico centinaia e migliaia di persone, le aziende che chiudono un reparto, che trasferiscono alcune lavorazioni da un’altra parte. L’articolo 18 è un’altra cosa. Se volevano fare una cosa ben fatta potevano adottare il modello tedesco. La Germania ha il Pil il doppio del nostro, la disoccupazione che è la metà della nostra, i tassi di crescita tre volte superiori, un debito pubblico che è minore. E gli imprenditori tedeschi non saranno così dissennati. Eppure lì ci sono delle norme ferree sui licenziamenti, che stabiliscono tutte le procedure per affrontare i provvedimenti anche di ridimensionamento dell’azienda, di disoccupazione. L’azienda, per esempio, è obbligata, per accordo, a discutere preventivamente con i sindacati i criteri in base ai quali si può ridurre il numero dei dipendenti e le ragioni per cui questi dipendenti vengono ridotti. L’azienda è obbligata a discutere con i rappresentanti sindacali dei lavoratori addirittura i nomi e le situazioni personali dei lavoratori che si vogliono lasciare a casa. Se è meglio Tizio che è più giovane e più facilmente reinseribile o Caio che ha meno persone a carico, ecc. Se proprio bisognava ammodernare la partita del mercato del lavoro poteva essere discusso questo modello. Un sistema che, a giudicare dai risultati economici che la Germania raggiunge rispetto a noi, certamente funziona».

E invece da noi?

«Dai noi hanno inventato delle cose che sono delle autentiche stravaganze, come quelle del licenziamento a carattere “pseudoeconomico”. Sto parlando dei licenziamenti individuali con motivazioni economiche. Le faccio un esempio. Lei immagini un’azienda con mille dipendenti che caccia uno adottando una motivazione economica. Secondo me verranno da tutto il mondo a studiare questa fattispecie, se mai dovesse verificarsi, per la sua stravaganza. In ogni modo sono fiducioso perché ci sarà ancora tempo per discutere, per correggere, in Parlamento e fuori dal Parlamento, le formulazioni che possono risultare più discutibili o più spericolate. Anche se, lo ripeto, mi resta il dubbio del perché è stata affrontata questa questione».

Annachiara Valle
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Postato da folgore il 25/03/2012 22:28

Dice martinporres che il governo Monti "Alla fine ha fatto solamente la riforma delle pensioni che avrebbe fatto anche il governo Berlusconi se non ci fosse stato il veto della Lega." Ecco il fatto: il governo Monti si incammina ad essere quasi un governo del PDL, che approva la manovra incondizionatamente (col suo leader a dire un "forza Elsa").

Postato da Celso Vassalini il 25/03/2012 09:39

La riforma del lavoro sarà un altro casino. Lo ha dichiarato il segretario della Lega, Umberto Bossi. "Non mi pare - ha aggiunto Bossi - che fino ad adesso il governo abbia risolto qualcosa: invece di migliorare, ha peggiorato le condizioni della gente e non ha migliorato il sistema generale". Una cosa è certa: la soluzione indicata dal governo sull’articolo 18 va ben oltre qualsiasi nozione di “manutenzione”. Il mantenimento della tutela reale (il reintegro) per il solo caso del licenziamenti in discriminatori equivale nei fatti una monetizzazione di tali diritti i casi di una qualche rilevanza pratica. Al di là delle diverse fattispecie si può ben capire che, per il resto, sull’articolo ormai più conosciuto e di dibattito nel Paese il governo ha chiuso la partita. La palla passa al Parlamento, che comunque potrà modificare e dettagliare le misure che Monti, Fornero & Co., intendono apportare allo Statuto dei Lavoratori. La Lega Nord ci sarà e darà battaglia, per difendere l'articolo 18. La modalità normale del licenziamento sarebbe quella per motivi economici, con indennizzo monetario. Se ad oggi è l’impresa a dover giustificare, se richiesto, di fronte ad un Giudice del lavoro, il sussistere di ragioni valide per procedere al licenziamento individuale, con la forma toccherebbe al lavoratore l’onere di dimostrare che quel licenziamento non è realmente <<economico>> ma dettato da ragioni discriminatorie. Con quali difficoltà ed esiti è facile prevederlo. Siamo insomma ben oltre il <<modello tedesco>> indicato dal PD, PDL, UDC come limite accettabile alla riduzione delle tutele; ma siamo anche oltre la proposta del Senatore Prof. Pietro Ichino, che comunque limitava la nuova regolazione contrattuale ai soli nuovi assunti. Non sbaglia pertanto di molto il Senatore Umberto Bossi nel descrivere l’azione del governo Monti, senza mezzi termini, come una deregolamentazione del mercato del lavoro e una riduzione dei costi di licenziamento. Era necessaria? Il nostro mercato del lavoro è così rigido? I dati ci dicono che il 30% di chi è a tempo indeterminato registra, in un arco di cinque anni, un peggioramento dello status lavorativo, passando alla disoccupazione o a forme di lavoro meno stabile. Non è un mistero che la richiesta di deregolamentazione risponde a una precisa visione di come l’economia italiana dovrebbe superare la crisi: non già attraverso la strada difficile ma sostenibile degli investimenti della riqualificazione della pubblica amministrazione, di una rinnovata politica industriale, ben sì quella rapida ma socialmente rischiosa di una deflazione salariale, di una sostituzione di lavoratori anziani con meno costosi lavoratori giovani, di aumenti della diseguaglianza delle retribuzioni. Una linea che non è certo quella del Partito della Lega Nord. A rendere più difficile un confronto corretto e nel merito dei problemi contribuisce però anche una certa retorica del PD nazionale e locale. Magari a quei ventenni trentenni che si afferma di voler difendere sarebbe il caso di spiegare che se un loro maggior accesso all’occupazione deve venire dalla cosiddetta flessibilità in uscita, è probabile che ciò avvenga, in questo caso sì, a spese dei loro genitori cinquantenni e sessantenni, estromessi dal sistema produttivo perché più costosi e difficilmente reimpiegabili. In assenza di alternative, un lavoro precario, sottopagato e con minori contributi (la pensione diventa un mutuo tombale) è comunque meglio di nessun lavoro, e un lavoro a tempo indeterminato con garanzie ridotte è meglio di un lavoro precario. Chi è debole, tende a considerare chi è marginalmente meno debole un privilegio; se questo è una reazione naturale, è insopportabile costruirvi il consenso per un’azione politica. Tanto più che abbiamo troppa stima per questi giovani per pensare che siano così poco lungimiranti da non capire come una svalutazione complessiva del lavoro non sia per loro una grande vantaggio. Anche se penso che una scelta per decreto: <<Su materie così non esiste in natura>>. Comunque la Cgil si dimostra alfiera di un sindacalismo vecchio e soprattutto contrario agli interessi dei lavoratori. Non è questione di ideologia ma di risultati ottenuti. Il sistema socialista-conservatore è fallito. Un mio modesto consiglio... è meglio andare all’elezioni. Celso Vassalini.

Postato da martinporres il 24/03/2012 23:35

All'inizio sono stato un sostenitore del governo Monti, adesso mi rendo conto che è forte con i deboli e debole con i forti. Alla fine ha fatto solamente la riforma delle pensioni che avrebbe fatto anche il governo Berlusconi se non ci fossse stato il veto della Lega. Condivido l'allarme di Pierre Carniti, e aggiungo che guardiamo sempre alla Germania, come esempio, allora applichiamo la sua legislazione in tema di lavoro. Troppo comodo guardare alla Germania solo quando ci conviene.

Postato da Franco Salis il 24/03/2012 21:37

Capisco che Pierre Carniti è uno dei padri della legge n. 300 del 20 maggio 1970, che allora ha costituito una conquista fondamentale nelle lotte dei lavoratori, ma OGGI le sue risposte,(non ho seguito, come Antonel l’Infedele, ma ho letto quanto riportato in rete) riportano solo giudizi e non analisi, NON SONO COMMENTABILI. Con buona pace di DOR1955 il 24/03/2012 15.16 cui, nonostante io vecchio, non ho mai dato dell’ “incompetente”. Ciao Pierre

Postato da luciocroce il 24/03/2012 17:21

Premesso che concordo in pieno con l'analisi di Carniti - che è persona che stimo sinceramente - la politica che sta portando avanti il Prof. Monti avrebbe potuto essere sostanzialmente diversa? La nostra moneta è l'euro e, ad avviso della gran parte degli addetti ai lavori, è un bene che lo sia stata per gli anni trascorsi e che lo sia per il futuro: il ritorno alla lira potrebbe comportare molti più danni che benefici. L'Italia, nel corso del 2011, era diventata possibile fonte di disgregazione di tale moneta: un nostro default avrebbe, secondo molti osservatori, provocato infatti la sua dissoluzione. Conseguentemente l'Europa - Germania in primis - ci hanno assegnato dei "compiti a casa", con lo scopo di mettere un minimo di ordine nella nostra disastrata situazione finanziaria nazionale. I principali Paesi dell'Europa sono guidati da governi di destra - Germania in primis - per cui l'ideologia sottostante ai "compiti" assegnatici è un'ideologia di impronta liberista (è plausibile ipotizzare che se fossero stati al potere governi socialdemocratici, l'ideologia sottostante ai "compiti" sarebbe stata meno liberista e più keynesiana). Per una politica economica liberista il fattore lavoro - pur tenendo conto delle sfumature che esistono tra le sue diverse scuole di pensiero - è un fattore produttivo più o meno come gli altri: viene impiegato quando serve, se ne fa a meno quando il suo utilizzo diventa antieconomico. Ciò posto, cosa di molto diverso avrebbe potuto fare il Prof. Monti? Ha dovuto adottare quei provvedimenti ( art. 18 compreso) che l'Europa - ed in particolare i suoi Paesi più importanti - si aspettavano adottasse. E' altamente auspicabile che il parlamento riesca ad apportare le modifiche suggerite da Carniti alla riforma Fornero - che in molte parti è comunque apprezzabile - avendo però presente che le problematiche che ci troviamo ad affrontare spesso sono strutturali e, in particolare, non è detto che dipendano da una possibile insensibilità sociale dei protagonisti della vita politica e produttiva: esse, infatti, sono gli inevitabili "effetti collaterali" dei sistemi economici nei quali ci troviamo a vivere. La questione, allora, andrebbe forse spostata sul piano della politica, avendo ben presente che la politica non è neutra: il prevalere di alcuni partiti rispetto ad altri comporta, inevitabilmente, una maggiore attenzione verso alcuni interessi rispetto ad altri. Cordiali saluti lucio croce

Postato da DOR1955 il 24/03/2012 15:16

Provo a rispondere, da incompetente (come qualcuno, "vecchio", si ostina a pensarlo) alle giuste domande di martinporres e CZAR. La mia sensazione, anzi, la mia convinzione, è perchè non avendo soluzioni al vero problema, cioè come creare "lavoro vero", nel futuro, se l'economia va male (come purtroppo i dati lo stanno a dimostrare) avranno la scusante che l'art. 18 non è stato modificato come loro volevano. Se, miracolosamente, dovesse andare bene (inteso come aumento di posti lavoro e apertura di nuove imprese), indipendentemente se il testo resta com'è o viene modificato, si fregeranno del titolo di novelli "Keynes". Mi auguro, per il bene di tutti noi, che si materializzi questa seconda ipotesi; in caso contrario sarebbe opportuno che queste "teste d'uovo" si ritirino a vita privata in qualche isola sperduta, insieme al fuggitivo (come lo ama chiamare il "vecchio"). Almeno gli italiani non avranno anche le spese sanitarie legate alla loro vecchiaia. Mi scuso per la durezza del linguaggio, ma questi stanno rovinando, non solo economicamente, ma anche socialmente, quel poco di Italia che resta. 150 anni buttati via?

Postato da CZAR il 24/03/2012 13:47

Spero che quanti , per superficialità , incompetenza o malafede hanno subito approvato ad occhi chiusi la cosiddetta riforma Fornero del mercato del lavoro leggano attentamente questa intervista a Pierre Carniti , meditandola. Se proprio era indispensabile ( cosa non dimostrata ) intervenire per modificare l'art.18 , non si poteva copiare pari pari la normativa tedesca , visto che la Germania è un modello d'eccellenza per l' Europa e che il suo mercato del lavoro funziona benissimo? Oppure la modifica dell'art.18 ha semplicemente uno scopo punitivo ? Ma per chi e soprattutto perchè ?

Postato da martinporres il 24/03/2012 12:52

Riprendo: "mi resta il dubbio del perché è stata affrontata questa questione". Perché ?

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