Prodi: Europa unita o nulla

«O si unisce politicamente o sarà emarginata», spiega l’ex premier che, tra il 1999 e il 2004, da presidente della Commissione ha gestito l’introduzione dell’euro.

10/07/2012
Romano Prodi, 72 anni (Foto e copertina Reuters).
Romano Prodi, 72 anni (Foto e copertina Reuters).

È docente di economia alla Brown University di Providence, Stato del Rhode Island, ma ha anche una cattedra dalla parte opposta del pianeta, alla China Europe international business school di Shanghai. Un ritorno all'antico, giacché la sua prima carriera fu proprio quella accademica, da assistente a ordinario. Ora insegna negli Stati Uniti e in Cina. Un modo per capire in diretta il caotico divenire della storia, scrutata dal punto di vista di chi tira il gruppo, dal momento che, come ama ripetere, quelli sono, oggi, gli unici due Stati al mondo che possono vantare la piena sovranità. Per il resto Romano Prodi continua a essere molto attivo tra la via Emilia e il West, per dirla con Francesco Guccini, su e giù tra Bologna e Roma. Lo sguardo semmai puntato a Nord, alle terre bagnate dal Reno, là dove il Vecchio Continente getta radici profonde.






– A quando gli Stati Uniti d'Europa?

«Ci vorrà ancora tempo».

– Un modo elegante per dire mai?

«Nient'affatto. Dico che l'unità politica è un approdo necessario, pena l'insignificanza. Separati non contiamo nulla».

– Ci si salva in cordata...

«Sì. Guidata dalla Germania, s'intende».

– Ma la Germania sembra non volerci stare.

«Nessun Paese europeo riuscirà a far fronte alle grandi potenzialità degli Usa e della Cina. Nemmeno la Germania, che gode di una buona economia, è abbastanza forte da poter giocare da sola un ruolo da protagonista sui mercati mondiali. La parte più avvertita del popolo tedesco, a partire dalla comunità degli affari, sa benissimo che dall'euro ha fin qui ottenuto soltanto grandi benefici».

– Quali sono, professore?

«Tassi d'interesse vicini allo zero, un forte flusso di capitali proveniente dagli altri Paesi partner dell'Unione europea, un surplus nella bilancia commerciale spaventoso. Confrontato ciò che ha incassato grazie alle esportazioni con quanto ha pagato per le importazioni, la Germania ha guadagnato negli ultimi dodici mesi 190 miliardi di euro. La vera Cina si trova tra Berlino e Francoforte».

– I tedeschi predicano un ferreo rigore...

«Nel 2003, mentre ero il presidente della Commissione europea, la Francia e la Germania violarono i parametri di Maastricht. Il rigore da loro predicato agli altri non l'avevano messo in pratica fino in fondo. Nulla di terribile, per carità, ma quanto bastava per avviare le procedure da attivare in caso di infrazione. Parigi e Berlino si opposero così come si oppose Roma, in quel momento presidente di turno. Proponemmo di istituire almeno un'autorità di sorveglianza dei conti. Rifiutarono, perché – dissero – c'erano già molti organismi e si spendeva troppo. La Commissione voleva allora dare all'Eurostat, che già esisteva, il potere di vigilare sui bilanci valutandone l'attendibilità formale, dando cioè un giudizio sulla correttezza aritmetica dei conti e astenendosi da qualunque valutazione politica. Incassammo il terzo no».

– La Grecia ha di che recriminare...

«La Grecia ne ha fatte tante, ma fino a ieri le è stato permesso tutto perché Francia e Germania non volevano che si arrivasse a un'autorità sovrannazionale».

– Non potevate crearne una insieme all'euro?

«Negli anni Novanta abbiamo creato i presupposti per due decisioni che adeguassero l'Europa alle nuove esigenze della storia. Parlo dell'euro, entrato in circolazione il primo gennaio 2002, un modo per permettere al Vecchio Continente di rimanere protagonista reagendo positivamente alle sfide della globalizzazione. E parlo dell'allargamento dell'Unione che il primo maggio 2004 passò da 15 a 25 Stati membri (oggi 27, ndr), riempiendo il vuoto creato dalla caduta del Muro».

– Nessuna novità politica reale, però...

«Kohl, Chirac e gli altri leader non erano incoscienti. Tutti sapevano che l'euro precedeva un'ulteriore cessione di sovranità e dunque un altro grande cambiamento, ma bisognava dar tempo al tempo. Il problema è che l'Europa ha repentinamente cambiato umore».

– Cosa intende dire?

«La paura dell'altro, dell'idraulico polacco come del lavoratore maghrebino che ti ruba il lavoro perché costa meno, ha generato movimenti populistici, alfieri della chiusura delle frontiere. La Lega in Italia, Le Pen in Francia, Haider in Austria. Sono solo alcuni esempi. È cambiato un Paese europeista come la Finlandia. Bisogna archiviare la fase delle diffidenze reciproche. Usiamo le elezioni europee del 2014 per riavviare il processo politico e costituente, attraverso una vera legittimazione democratica e una forte partecipazione popolare».

– Il vertice di Bruxelles di fine giugno ha aperto una fase nuova?

«Sono cambiati i rapporti di forza. La Francia ha finalmente capito qual è il suo interesse cioè di schierarsi con la Spagna e con l'Italia perché piaccia o non piaccia anche lei condivide i nostri stessi rischi socioeconomici. Questo nuovo clima non è contro la Germania ma serve alla Germania per capire che o ci si mette davvero insieme o si soccombe».

– Cosa occorre per uscire dalla grave crisi?

«Tre cose. Primo: una Banca centrale europea molto forte, che faccia per il Vecchio Continente quello che le Banche centrali nazionali fanno per i singoli Stati: piena sovranità monetaria, controllo sugli istituti di credito, politica dei tassi. Secondo: gli eurobond. Occorre mettere insieme i singoli debiti nazionali per far sì che la speculazione non possa più attaccare con successo. Terzo: un bilancio comune europeo più ricco, che preveda una riserva da usare in caso di crisi. Oggi, tutto compreso, non arriva all'uno per cento del Prodotto interno lordo europeo. Il bilancio di uno Stato che possa ritenersi federale supera il 20 per cento del Pil. L'Europa è un po' come l'Italia del Rinascimento, divisa in tanti Stati capaci di eccellere in varie discipline. All'arrivo della prima globalizzazione, successiva alla scoperta dell'America, la mancata unificazione ha oscurato politicamente il nostro Paese. Unirci è un dovere morale, vista la nostra comune storia culturale, vivificata dal cristianesimo. E, naturalmente, è interesse di tutti».

Alberto Chiara
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Postato da cristina bollo il 15/07/2012 16:42

Tanto più leggendo questa intervista provo rammarico all'idea che Romano Prodi poteva essere ben più a lungo un nostro eccellente Presidente del Consiglio! Che peccato che sia stato travolto dai metodi di un competitor che conosciamo per la sua spregiudicatezza - a dir poco; e che troppi italiani non abbiano saputo analizzare bene la situazione e le capacità di governo prima di scegliere! Almeno ora, speriamo che la memoria del recente nostro passato politico sia ben viva e vigile. Ci tengo ad esprimere la mia stima per il presidente Prodi che ritengo un uomo capace, dignitoso e corretto :virtù che, ahimè, non hanno "pagato" (almeno, finora!!). Lui doveva guidare l'Italia subito dopo l'introduzione dell'euro: avrebbe controllato molto meglio le speculazioni e tenuto il timone della nostra economia: anche perchè non distratto da "affari" vari, avendo una famiglia "normale" e sana, e una condotta onorevole. A proposito, quando si smetterà di chiamare "Onorevoli" i nostri parlamentari?? Grazie per lo spazio concesso.

Postato da aldo abenavoli il 14/07/2012 12:25

Ci si chiede il motivo per il quale di Prodi nessuno parla, non solo a destra come è naturale ma neanche a sinistra il che è meno comprensibile. La ragione del profondo imbarazzo che coglie il paese quando si parla di Prodi deriva dal fatto che, se si parlasse di lui la gente verrebbe a sapere che nel 2000 avevamo raggiunto il pareggio del bilancio, quel pareggio che oggi ci costa lacrime e sangue. Dunque silenzio assoluto anche da parte della Chiesa gerarchica che non ha fatto mai mistero di preferire il Cavaliere. unlaicoallaricercadellaverita.myblog.it

Postato da Libero Leo il 14/07/2012 00:14

Prodi dopo 10 anni dall’avvento dell’euro si accorge che l’euro è monco perché gli mancano gli eurobond ed il sostegno di una vera banca centrale europea. Queste mancanze erano state denunciate da quelli che egli contribuì a criticare come euroscettici. Forse non si rendeva conto che stava partecipando al varo di una moneta che avrebbe fatto acqua in occasione di gravi crisi come l’attuale. O forse era motivato da obiettivi di piccolo cabotaggio, come quello di tamponare il bilancio deficitario italiano con una effimera diminuzione dei tassi d’interesse del debito pubblico. Prodi sembra preoccupato quasi esclusivamente sulla moneta comune. Ma la moneta comune non fa l’unione. Se non c’è una vera unione socio-economica, la moneta comune crea problemi e può causare spinte verso l’abbandono dell’unità europea. Prima di fare la moneta unica europea bisogna fare gli europei. E gli europei si fanno con una lingua comune, con una politica estera comune, con una politica economica e tributaria comune, con una gestione della giustizia uguale e, soprattutto, con una cultura del lavoro più comune possibile. Fino a quando vi saranno popoli con culture del lavoro completamente diverse (alcuni che considerano il lavoro soprattutto un dovere, ed altri che lo considerano quasi esclusivamente un diritto al posto di lavoro fisso ed inviolabile; alcuni che considerano altamente meritevoli gli imprenditori creatori di posti di lavoro, ed altri che considerano gli imprenditori come padroni e sfruttatori) la vera unione europea non si farà e la moneta unica creerà problemi (come il carro davanti ai buoi) soprattutto in termini di sviluppo disomogeneo con aree fortemente operose, sviluppate e ricche, ed altre aree di sottosviluppo impegnate sempre a chiedere la solidarietà delle aree più operose e ricche. Probabilmente l’Italia sarà un’area di sottosviluppo. Ed allora è naturale porsi la domanda: è meglio essere una delle aree povere e, di fatto, sottoposte al potere della Germania; oppure essere autonomi ed artefici del proprio destino? Per chi non ha fiducia negli italiani, forse è meglio la prima alternativa; per chi ha fiducia negli italiani, forse è meglio la seconda alternativa.

Postato da CAMALEONTE FRANCESCO DELFINO il 13/07/2012 14:50

IL MIO PENSIERO DA ITALIANO E DA CALABRESE CHE NOI ITALIANI CI STIAMO PERDENDO DIETRO LE CHIACCHIERE DELLA EUROPA CHE NON CE' E CREDO CHE E SOLO X GERMANIA E FRANCIA L'EUROPA QUI DA NOI STIAMO MESSI MALE NON CRESCIAMO MORIAMO DI FAME IL LAVORO MANCA GIORNO DOPO GIORNO I POLITICI NON MOLLANO LA FEBRE SALE I SENZA LAVORO SONO ORMAI E NON SI CONTANO IL POTERE D'AQUISTO E SOLO PER LE BANCHE E PER NON DIRE DEGLI USURAI CHE GIRANO QUI SE NON NON SI DA UNA MOSSA FORTE SIAMO SPACCIATE I NOSTRI GIOVANI MORIRANO DE FAME SCEGLIA POLITICI PAPPONI

Postato da operitaly il 13/07/2012 13:18

E meno male che lui è un Docente Universitario, ed anche in due nazioni estere, altrimenti chissà come saremmo messi! La verità è che comunque vada a finire, certi signori non soffriranno mai, mentre a noi ci stanno togliendo l'ossigeno! Il Prof. Prodi è quello che ha fatto più danni in Italia! ...Altro che Berlusconi! ...Almeno, Giuda andò ad impiccarsi, ma questo perchè lui realizzo di aver tradito il Messia! Mentre Prodi non riesce neppure a capire il grande male che ha fatto ai suoi connazionali! Senza vergogna!!!

Postato da Libero Leo il 13/07/2012 08:23

E’ sorprendente come Prodi dimostri di avere una visione di retroguardia e miope. E’ di retroguardia perché solo dopo 10 anni dall’avvento dell’euro si accorge che l’euro è monco perché gli mancano gli eurobond ed il sostegno di una vera banca centrale europea. Egli non dice che queste mancanze erano state denunciate da quelli che egli contribuì a criticare come euroscettici. Forse non si rendeva conto che stava partecipando al varo di una moneta che avrebbe fatto acqua in occasione di gravi crisi come l’attuale. O forse era motivato da obiettivi di piccolo cabotaggio, come quello di tamponare il bilancio deficitario italiano con una effimera diminuzione dei tassi d’interesse del debito pubblico. La sua visione dei problemi dell’Europa unita è anche miope perchè centrata quasi esclusivamente sulla moneta comune. Ma la moneta comune non fa l’unione. Se non c’è una vera unione socio-economica, la moneta comune crea problemi e può causare spinte verso l’abbandono dell’unità europea. Prima di fare la moneta unica europea bisogna fare gli europei. E gli europei si fanno con una lingua comune, con una politica estera comune, con una politica economica e tributaria comune, con una gestione della giustizia uguale e, soprattutto, con una cultura del lavoro più comune possibile. Fino a quando vi saranno popoli con culture del lavoro completamente diverse (alcuni che considerano il lavoro soprattutto un dovere, ed altri che lo considerano quasi esclusivamente un diritto al posto di lavoro fisso ed inviolabile; alcuni che considerano altamente meritevoli gli imprenditori in quanto creano nuovi posti di lavoro, ed altri che considerano gli imprenditori come padroni e sfruttatori) la vera unione europea non si farà e la moneta unica creerà problemi (come il carro davanti ai buoi) soprattutto in termini di sviluppo disomogeneo con aree fortemente operose, sviluppate e ricche, ed altre aree di sottosviluppo impegnate a chiedere la solidarietà delle aree più operose e ricche. Probabilmente l’Italia sarà un’area di sottosviluppo. Ed allora è naturale porsi la domanda: è meglio essere una delle aree povere e, di fatto, sottoposte al potere della Germania; oppure essere autonomi ed artefici del proprio destino? Se non si ha fiducia negli italiani, forse è meglio la prima alternativa; se si ha fiducia negli italiani, forse è meglio la seconda alternativa.

Postato da martinporres il 11/07/2012 07:47

Romano Prodi si candida a Presidente della Repubblica ?

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