Quella crisi che dilania il Pd

Delle due crisi, quella nel Pdl e quella nel Partito democratico, è più grave la seconda. Anticipiamo l'editoriale del n. 39 di Famiglia Cristiana, in edicola dal 23 settembre.

22/09/2010
Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni.
Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni.

La tentazione più forte fra i commentatori è di assimilare le due crisi politiche a cui l’Italia sta assistendo: quella del Pdl e quella del Pd. Si tratterebbe di due aspri, ma passeggeri confronti fra protagonisti delle due parti: Berlusconi e Fini da un lato, Bersani e Veltroni dall’altro. Detto così, tutto sembra facile. Ai personalismi dei leader gli italiani sono abituati, e sanno anche come vengono in genere risolti: con patti sottobanco, con divisioni di ruoli e di poltrone per i rispettivi sostenitori, o con “ribaltoni” prodromi di nuove difficoltà.

    In realtà non è così. Delle due crisi, la più grave e più importante per il sistema politico è quella del Partito democratico. Qui non ci sono sullo sfondo alloggi a Montecarlo o “legittimi impedimenti” e “lodi Alfano” su cui litigare bassamente; c’è un cambiamento profondo nella situazione generale non solo del Paese, ma in tutta l’Europa (per non parlare degli Usa), e in particolare in quel mondo, culturale prima ancora che politico, che da un secolo e mezzo ruota intorno alla condizione umana, dal punto di vista del “bene comune” (così caro alla Chiesa dalla Rerum novarum di Leone XIII fino alle encicliche sociali di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI) e della “giustizia sociale”, da Marx, Proudhon, John Stuart Mill fino all’altro ieri.

    Tutto è cambiato. Un solo esempio: come può oggi un partito che si definisce riformista, progressista, genericamente “di sinistra” (anche se contiene tradizioni diverse come quella cattolica) promettere di “difendere il lavoro”, quando proprio il lavoro ha cambiato natura nel tempo della globalizzazione (da noi nell’“era Marchionne”) e non deve più fare riferimento in primo luogo ai lavoratori, cioè alle persone, ma esclusivamente alla produzione (con il sottinteso primato della produttività); e le regole non le dettano più Governi e Parlamenti, ma il mercato; e non c’è più una classe operaia nel senso classico del termine, ma tanti individui sottoposti a una molteplicità di contratti, fra i quali emerge il precariato?

    In un libretto uscito pochi mesi dopo la sua morte, L’economia giusta, Edmondo Berselli annota: «È molto probabile che la nuova sintesi debba fare i conti con un aumento della povertà, o perlomeno con una condizione generale della società in cui non sarà possibile mantenere tutti gli istituti e gli strumenti del Welfare». Lo profetizzò già papa Wojtyla nella prefazione alla Laborem exercens del 1981, lo ha scritto di recente Benedetto XVI nella Caritas in veritate in cui richiama la necessità di «un profondo rinnovamento culturale e della riscoperta di valori di fondo su cui costruire un mondo migliore». Il Pd è pronto per un compito simile, al quale si sente chiamato, senza poter fare affidamento sulle passate tattiche e strategie? Questa domanda è la vera origine dei suoi attuali contrasti.

Beppe Del Colle
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Postato da giuseppe.distefano il 25/09/2010 16:27

A mio parere i problemi nei due schieramenti sono diversi e non paragonabili. A destra, Fini vorrebbe introdurre il concetto di democrazia, concetto che Berlusc. ignora. A sinistra, cattolici ex-comunisti e laici non hanno il coraggio di avere fiducia reciproca ( anche a causa di interventi a gamba tesa delle geranchie ecclesiastiche).

Postato da Chiara Borsato il 24/09/2010 00:21

Io spero che il PD esca dalla crisi.Ne ha tutte le possibilità. Ho ascoltato Bersani a Torino e mi sembra che abbia le idee chiare. E' molto più difficile gestire la democrazia che dire :"Ghe pensi mi". Spero che smettano di litigare e che pensino all' Italia.

Postato da degrel0 il 23/09/2010 09:30

il PD non può uscire dalla crisi in cui si trova perchè privo totalmente di un programma che non sia l'antiberlusconismo,forma di opposizione del tutto perdente.troppi generali in contraddizione tra di loro per poter abbattere "l'odiato nemico" che è comunque votato dalla maggioranza di chi si reca alle urne.

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