26/11/2012
Il leader del Ciu, il partito indipendentista di Barcellona, Artur Mas.
“El plan de Mas fracasa en las urnas”, titola
il castigliano El Pais commentando i risultati delle elezioni regionali in
Catalogna. Continuerà a sventolare la bandiera a stelle e strisce
giallo-rosse, simbolo della voglia di indipendenza catalana, continuerà la
rivalità non solo calcistica tra Madrid e Barcellona, ma sembra allontanarsi lo spettro
del referendum secessionista.
“El plan”, il piano di Artur Mas, governatore
uscente della Catalogna, era chiaro: ottenere la maggioranza assoluta per il
suo partito, la Ciu (Convergència i Unió), e, forte della volontà popolare,
imporre a Madrid una consultazione sull’indipendenza della Generalitat, la
comunità autonoma catalana. Il verdetto delle urne assegna alla Ciu 50 seggi, ben 12 in meno rispetto ai 62 del
2010. “El fracaso”, il fallimento, sta qui: netta maggioranza relativa, ma molto
lontana dalla maggioranza assoluta (68 seggi). I venti secessionisti hanno invece
favorito la sinistra indipendentista dell’Erc, che diventa la seconda forza
della Generalitat, passando da 10
a 21 seggi rispetto alle scorse elezioni locali.
Arretrano di 8 seggi (da 28 a
20) i socialisti del Psoe e del locale Psc, seguiti dalle altre “forze
centraliste”, i popolari del premier di Madrid Rajoy (19) e i Verdi dell’Icv.
Le forze secessioniste hanno quindi la maggioranza
sulla carta, ma è difficile che possa funzionare l’alleanza del centrista Mas
con l’Erc: a parte l’avversione verso Madrid, la distanza appare incolmabile su
quasi tutti i temi. L’ingovernabilità appare facile da prevedere.
“Sono le elezioni più decisive della nostra
storia”, ha detto Mas uscendo dalle urne. Un’idea confermata dall’affluenza, la
più alta dal 1988, più 8% rispetto a due anni fa. Il governatore, che ha
indetto elezioni anticipate, ha posto al centro del dibatto elettorale una
questione, paradossalmente, incostituzionale: la richiesta di un referendum per
staccarsi dal Regno di Spagna e realizzare il sogno dell’Estado Propio
catalano. Il voto odierno, molto seguito a livello europeo, rende ardua questa
strada nella stessa Generalitat di Barcellona, ma ancora di più “oltre
frontiera”. La legge nazionale consente di indire un referendum nella
regione solamente nel rispetto dell'ordinamento spagnolo, che esclude qualsiasi
ipotesi secessionista.
Per convocare la consultazione occorrerebbe convincere
il Re, autorizzato dal Parlamento spagnolo, a sua volta convinto dalla
Generalitat. Poi bisognerebbe convincere l’Ue, che già nel 2004 aveva spiegato
che il nuovo Stato, automaticamente, sarebbe escluso dall’Eurozona.
Secondo
alcuni critici, mettendo al centro del dibattito l’indipendenza e
l’insofferenza dei catalani per i sussidi finiti alle regioni più povere, come
l’Andalusia o l’Estremadura, Mas ha voluto spostare l’attenzione dalla crisi
economica. Infatti, la più ricca (10% del Pil spagnolo), ma anche la più
indebitata tra le 17 regioni spagnole, è dovuta ricorrere a un paradosso: ad
agosto, per evitare il fallimento, ha dovuto chiedere 5 miliardi di euro di
aiuti proprio all’odiata Madrid.
Stefano Pasta