14/02/2012
I rilievi della polizia sul luogo dove un cileno è stato ucciso da un vigile (foto Eidon).
Ma è opportuno che i vigili portino la pistola? La domanda sorge spontanea dopo il cambio di imputazione da “ecceso colposo di legittima difesa” a omicidio volontario per Alessandro Amigoni, il vigile 36enne che lunedì pomeriggio ha ucciso durante un inseguimento a Crescenzago il cileno di 29 anni Marcelo Valentino Gomez Cortes. E' quanto emerge dalla Procura di Milano che si sta occupando delle indagini. L’accusa che in un primo momento era di «eccesso colposo di legittima difesa», al termine dell’interrogatorio del vigile durato fino a tarda notte è stata tramutata in omicidio volontario.
La questione, al di là dell'episodio di Milano, non è nuova. L’ultima volta che se è parlato è stato con l’adozione dell’arma da parte dei vigili urbani di Roma, due anni fa. Si teme che i vigili, a differenza delle forze dell’ordine, siano poco avvezzi all’uso della pistola, che non possano esercitarsi a sufficienza, che non dispongano di quell’esperienza tale da poter disporre dell’opportuna lucidità e sangue freddo per affrontare situazioni critiche. Quel che ha portato all’introduzione della armi per la polizia locale in molti Comuni della Penisola è stato lo spostamento di competenze per il corpo dei vigili, sempre più impegnati in compiti di sicurezza e sempre meno dediti al traffico. Ma l’adozione dell’arma varia da città a città: a Milano, ad esempio è una tradizione ormai consolidata. L'omicidio di un vigile urbano investito perché cercava di fermare con la sua bicicletta un'auto in fuga, hanno fatto pensare all'esigenza di maggiori mezzi per assicurare la sicurezza nella metropoli. Lo stesso vale per le grandi città europee: in molte capitali gli agenti di polizia locale sono armati, ma l'agente di Scotland yard, il "Bobby" inglese, ad esempio, è un esempio leggendario di “legge e ordine”, ma non dispone di un’arma per i servizi di quartiere, a parte il manganello.
Francesco Anfossi