Un, due, tre... Vettel!

Il ragazzo terribile della Red Bull trionfa per la terza volta consecutiva. La scuderia più giovane e vincente della Formula Uno.

25/11/2012
La gioia di Sebastian Vettel (foto del servizio: Reuters).
La gioia di Sebastian Vettel (foto del servizio: Reuters).

Nel successo annunciato di Sebastian Vettel, il pilota tedesco di 25 anni per la terza volta consecutiva campione del mondo di Formula 1, si possono leggere molte belle cose concernenti l’umanizzazione residua, resistente, persistente di un mondo, quello dell’automobilismo di alta velocità, che ogni tanto sembra eccessivamente consegnato alla tecnologia spinta dei motori ed all’alchimia difficile delle gomme ed alla disumana e perfetta frenesia del stop.


Vettel in Brasile, all’ultimo gran premio, partito con la sua Red Bull in pole position, si è trovato ultimo dopo pochi metri, per un accidente/incidente, e ha rimontato posizioni su posizioni, sino al sesto posto che gli bastava visto che Alonso con la Ferrari è arrivato secondo, sfruttando un poco la pioggia e molto la sua classe, dietro a Button e davanti a Massa. A Vettel sono rimasti 3 dei 13 punti di vantaggio che aveva, ed è chiaro a questo punto che il gioco dei rimpianti, i calcoli delle sfortune piccole o grandi non solo è lecito in casa Ferrari, ma è doveroso anche come giusto omaggio all’immarcescibile spagnolo. Però lo stesso Alonso ha rilevato che la sua vettura non andava più veloce di quella della Force India, scuderia non trascendentale e questo pesa molto, dice di una mancanza, nel finale della stagione, di innovazioni necessarie per colmare il gap che Vettel aveva scavato con quattro vittorie consecutive.

Si parlerà molto della Ferrari 2013, sempre grande ma non grandissima come le circostanze richiedevano. Si è parlato poco, e chissà se si rimedierà, della Red Bull che sta in Formula 1 dal 2005 appena, che soltanto dal 2009 si è affidata ad Adrian Newey, ingegnere inglese di 54 anni, un genio invano tentato dalla Ferrari. E qui entriamo in zona-umanizzazione. Newey ha detto di no perché tiene famiglia e vuole che i suoi quattro figli crescano in Inghilterra e non vuole ovviamente lasciarli soli. E’ stata decisiva la moglie , pare, che ci piace immaginare come una solida massaia albionica e non invece come una vamp del paddock: ma questo rende ancora più preziosa la decisione. 

         

La delusione di Fernando Alonso.
La delusione di Fernando Alonso.

La Red Bull è austriaca nel senso che si “sprigiona” come le bollicine da una bevanda energetica che fa da sponsor, ma la scuderia è di residenza e anche radici inglesi.Newey ha fatto impazzire la concorrenza con le sue trovate, specialmente sul piano aerodinamico, sempre al di qua del regolamento ma sempre al di là dell’inventiva altrui, della concorrenza. Newey ha operato con relativamente pochi soldi, ha sfruttato bene un pilota capace di seguire ed esaltare le sue fantasie, ha limato all’interno della scuderia la rivalità fra Vettel e l’australiano Webber bravo nella guida quasi quanto il tedesco e però problematico persin più di Massa chiuso da Alonso nella Ferrari. Newey ha fatto miracoli in serie. 

La Ferrari può consolarsi e quasi quasi esaltarsi proprio rapportandosi alla assoluta genialità dell’ingegnere inglese: e mettersi subito al lavoro capitalizzando, tesorizzando il 2013.  E’ stato un bel Mondiale davvero, dove gli uomini (compresi e leader si capisce Vettel e Alonso) sono riusciti a essere persino superiori alla tecnologia, alla scienza, scovando e cavando fuori da se stessi cose nuove e valide. Anche un Mondiale onesto, con la giusta dose di casualità, comprendendo nel termine anche la pioggia domenica favorevole ad Alonso ma non determinante. Un Mondiale con pochi incidenti gravi ma tante gare accese. Un Mondiale casomai deludente per la McLaren, che sulla carta e talora anche sulla pista aveva l’auto più veloce E per i tifosi della Ferrari sollecitati (e puntuali) ad un’ennesima prova d’amore.

Un gioco davvero bello e lecitissimo: quello di pensare che questo Newey e questa scuderia ricordano i miracoli, le capacità, le fantasie di uno che fondò una sua scuderia, con pochi soldi, quando il mondo dell’automobilismo era tutto “occupato” da Alfa Romeo e Mercedes, i due colossi dell’epoca, e prese a vincere con fantasia, poesia, volontà speziata di intelligenza e praticità e se del caso furbizia. Si chiamava Enzo Ferrari, era un Adrian Newey antemarcia, senza quella laurea in ingegneria che gli sarebbe poi piovuta addosso, ad honorem da varie università.  

Gian Paolo Ormezzano
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