Yara, l'affetto di una comunità

La comunità della ragazza scomparsa si è stretta intorno ai genitori dando prova di grande dignità. Non così il circo dei media.

08/12/2010
Il circo mediatico che ha invaso Brembate Sopra.
Il circo mediatico che ha invaso Brembate Sopra.

“Sembra incredibile, ma ogni tanto gli uomini, le istituzioni e l'opinione pubblica mostrano anche segni di umana civiltà”, ha scritto Claudio Magris sul Corriere della sera a proposito della vicenda di Yara, la ragazzina di Brembate, in provincia di Bergamo, scomparsa da dodici giorni. “Non si è scatenata, come purtroppo è avvenuto in altri casi (lo stupro commesso da un romeno che ha creato una feroce psicosi verso i romeni accusati quasi in blocco d'essere stupratori, l'indiscriminata violenza verso gli zingari), alcuna bestiale caccia al marocchino, non si sono sentiti idioti insulti razzisti rivolti globalmente agli arabi”.

      La comunità di Brembate Sopra  e tutta la Bergamasca hanno dimostrato di che pasta è fatta una comunità di fronte alla peggiore delle prove. Centinaia di volontari si presentano ogni giorno per mettersi a disposizione delle ricerche, con qualsiasi condizione climatica. Il sindaco di Brembate Sopra, Diego Locatelli, che ha ricevuto una telefonata dal Capo dello Stato, a capo di una giunta leghista, ha dichiarato “che qui non ci sarà nessuna caccia all’uomo”, dissociandosi per ogni episodio di razzismo e chiedendo rispetto per la famiglia della ragazzina scomparsa, dando una straordinaria lezione di sensibilità e di senso delle istituzioni. Intorno ai genitori della piccola Yara non si sono viste altro che dignità e compostezza.

      Se i cittadini di Brembate (politici e amministratori locali compresi) e della Bergamasca sono stati all’altezza della situazione, non si può dire lo stesso del circo mediatico che si è accampato nei luoghi della scomparsa. Per dimostrare la tesi buona per i telegiornali della caccia all’uomo e del rigurgito xenofobo hanno fatto di tutto, esaltando i due (due di numero) cartelli portati davanti alle telecamere da gente venuta da fuori. Oppure andando a raccattare dichiarazioni anti-extracomunitari fin dentro i bar sport, dove qualche tipo da bar che biascica fandonie  e imprecazioni contro i clandestini, tra uno spritz e un bicchiere di vino, non manca mai.

      A che punto siano arrivati i giornalisti lo dimostra la lettera aperta che il parroco di Brembate, don Corinno Scotti, ha scritto al direttore del quotidiano l’Eco di Bergamo Ettore Ongis e che il giornale ha pubblicato in prima pagina. “La nostra comunità”, ha premesso il parroco,  “sta vivendo uno dei momenti più dolorosi della sua storia, per una vicenda che ha portato il nostro paese sulle prime pagine dei giornali e nelle prime notizie dei telegiornali. Grazie a Dio ci sono giornali che con i loro articoli ci aiutano a «leggere» con verità e con una visione di fede questo avvenimento (un editoriale dell'Eco di lunedì scorso a firma del vicedirettore Franco Cattaneo si intitolava significativamente "Stiamo ai fatti e nervi saldi", n.d.r). Sì, perché la vita e la storia cambiano a seconda degli occhi con cui le si guarda. E condivido quanto voi avete scritto.  Lasci però che le dica tutto il mio sconcerto per il comportamento di certi giornalisti, soprattutto della televisione”.

      L’elenco delle domande rivolte al parroco da parte dei giornalisti accampati nei dintorni della chiesa sono stupefacenti e il sacerdote ne riferisce qualcuna. Eccole. «In una parrocchia qui vicina pregano la Madonna delle Ghiaie. Lei e la sua comunità quale Madonna pregate?»; «Che cosa dicono i bambini di Brembate Sopra di questa vicenda?»; «Secondo lei, Yara è ancora viva?», «Qual è il messaggio della lettera che lei leggerà in chiesa a nome dei genitori?». E ancora: «Perché non dice tutto quello che sa? E quando rispondo che non so nulla, mi ribattono: «Ma allora anche lei è omertoso».

     “In casa di Maura e di Fulvio”, prosegue il parroco in questo straordinario documento, “non ci sono curiosi. E la porta è sempre aperta agli amici che fanno loro visita. Anzi, questo lo dicevo nella veglia di sabato scorso, chi va in quella casa entra con l'angoscia, preoccupato di quanto debba dire loro, e ne esce rasserenato. Proprio così”. Se c’è una pattuglia della polizia locale davanti all’abitazione, è per tener lontani i giornalisti.

Francesco Anfossi
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