Mancini e gli altri, emigrati e vincenti

Da Mancini in Inghilterra a Spalletti in Russia, è il trionfo degli allenatori italiani. Che, come dice sempre Lippi, sono "i migliori del mondo".

14/05/2012
Roberto Mancini festeggia la vittoria del Manchester City con la bandiera italiana (foto del servizio: Reuters).
Roberto Mancini festeggia la vittoria del Manchester City con la bandiera italiana (foto del servizio: Reuters).

Emigranti e vincenti. Se l’Italia del calcio comanda, fuori dai confini nazionali. Allenatori, soprattutto. Per dirla con Lippi, “i tecnici italiani sono i migliori”. Vero o no che sia, pare che per dimostrarlo sia necessario trovar casa all’estero. Roberto Mancini docet. Comanda lui, in Premier League. Mille emozioni, un titolo. E così ha posto fine al digiuno del Manchester City: trionfo in campionato, ben 44 anni dopo.


Festeggia l’altra Manchester: per anni lo United guardava il City dall’alto verso il basso, stavolta è il contrario. Certo, è il calcio che cambia. Sono arrivati gli arabi danarosi, che hanno investito somme da vertigini (930 milioni di sterline in totale) e acquistato fior di talenti. Dietro all’impresa, però, ci sono cervello e piedi italiani. I piedi di Mario Balotelli, educati a intermittenza. E il cervello di Mancini, autorevole condottiero. I tifosi l’hanno capito, ormai da tempo. Le note di Volare, dedicate al tecnico, il canto preferito all’Etihad Stadium. 

Mancini e altri. Staff di amici, più che altro. David Platt (suo compagno nella Sampdoria) è l’enfant du pays, tutto il resto rimanda al Belpaese. Vecchi compagni del Mancio, a fargli da preziose spalle: Attilio Lombardo e Fausto Salsano. E collaboratori più o meno recenti: Ivan Carminati (preparatore atletico, o fitness coach, per dirla all’inglese) e Massimo Battara (preparatore dei portieri). Mancini rules. Comanda Mancini. 


Roberto Di Matteo portato in trionfo dai giocatori del Chelsea.
Roberto Di Matteo portato in trionfo dai giocatori del Chelsea.

E pure Roberto Di Matteo, un altro tecnico italiano in trasferta. Ha rilanciato il Chelsea, portandolo alla conquista della Fa Cup e alla finale di Champions League. Il Chelsea che aveva strapagato Villas-Boas s’era affidato a lui come assistente del portoghese. Partito l’uno, è subentrato l’altro, senza ulteriori esborsi di danaro. Via i voli pindarici, ecco il calcio all’italiana. Con quali risultati lo si è visto. Fa Cup messa in bacheca (battendo il Liverpool nella finale di Wembley, una finale di Champions League alle porte (sabato contro il Bayern Monaco). Di Matteo può riuscire laddove non ce l’hanno fatta tecnici strapagati: sarebbe un vero miracolo.

Italiani da grandi imprese, in Inghilterra. Altro livello, quello di Paolo Di Canio. Lasciato il campo, s’è riciclato pure lui in panchina. Partendo dal basso, non come altri colleghi, più fortunati di lui. Ha guidato lo Swindon, squadra di retroguardia nelle gerarchie calcistiche d’oltremanica. Al primo tentativo, promozione diretta. Mica male, per un nuovo arrivato della panchina. Del resto, sembra ormai una tradizione: tecnici italiani che vincono nella terra dei maestri. 

Nel post-Mourinho al Chelsea, Carlo Ancelotti aveva impresso il marchio tricolore sui Blues: titolo e coppa, al primo tentativo. Un po’ d’anni prima, Gianluca Vialli. Breve ma intensa esperienza d’allenatore, prima di finire in tv. Al Chelsea, manco a dirlo. In pochi mesi, Coppa di Lega, Coppa delle Coppe e Supercoppa Europea. Niente male, davvero. Il solco, del resto, l’ha tracciato lui. Poi sono arrivati altri. Anche a livelli minori, non solo in squadre di vertice. Gianfranco Zola che salva il West Ham è stata una bella storia.


La gioia di Luciano Spalletti dopo aver vinto il secondo campionato consecutivo con lo Zenit.
La gioia di Luciano Spalletti dopo aver vinto il secondo campionato consecutivo con lo Zenit.

Inghilterra, ma non solo. Ai maestri piace affidarsi ai tecnici di casa nostra (hanno dato pure la Nazionale a Fabio Capello, forse l’unica scelta di cui sono stati costretti a pentirsi), per altri vale lo stesso discorso. E non si può dire che abbiano di che lamentarsene. Un esempio su tutti: Luciano Spalletti. Ha scoperto un altro calcio, quello russo, ora corroborato dai quattrini pesanti dei nuovi oligarchi. Se n’è andato a San Pietroburgo, per guidare lo Zenit. Due stagioni, altrettanti trionfi in campionato. Aveva un biglietto da visita coi fiocchi (le splendide stagioni alla guida di Udinese e Roma), i russi hanno capito che non nascondeva alcun bluff.

Intanto Giovanni Trapattoni, il decano degli allenatori portava l’Irlanda a Euro 2012, mentre tecnici meno in vista facevano le loro belle figure: Walter Zenga negli Emirati Arabi, Dario Bonetti in Romania (alla Dinamo Bucarest). Una sola eccezione: Carlo Ancelotti. Ha preso il ricco Paris Saint Germain in corsa, pareva destinato a vincere il titolo francese al primo tentativo. A una giornata dal termine, il sogno pare svanito. Tre punti meno del Montpellier, la capolista, cui basta un punto per laurearsi campione. Sarebbe un’eccezione, quella classica che conferma la regola. La regola degli allenatori italiani, vincenti all’estero.

Ivo Romano
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