26/08/2011
Il presidente dell'associazione italiana calciatori (Aic) Damiano Tommasi e il presidente dell'associazione italiana allenatori Renzo Ulivieri al centro tecnico di Coverciano.
Lo sciopero dei calciatori, allora. Qualcuno ancora crede che possa accadere qualcosa di magico prima della prima partita prevista nella prima giornata (anticipo fra Siena e Fiorentina, ore 18 di sabato 27 agosto, numeri destinati a diventare storici), nessuno crede che possa accadere qualcosa dopo. Si crede nella magia di un accordo in extremis, anche se il mago massimo, l’illusionista principe, insomma il presidente del Milan sembra avere in questi giorni altro da fare, non si crede che i rapporti fra tifosi di calcio e giocatori, anzi, in senso più lato, fruitori di calcio e giocatori, cambieranno a querelle ricomposta, campionato cominciato, recupero effettuato delle partite “perdute”. Saranno sempre rapporti fra poveri drogati e ricchi gesgori della droga.
Le ragioni dello sciopero sono per i calciatori la mancata firma, da
parte della Lega dei club di serie A, di un nuovo contratto collettivo
che garantisca i diritti dei giocatori, messi fuori rosa per scelte
tecniche, di allenarsi con i compagni, insomma di fare parte piena del
club. Poi è venuta fuori anche la faccenda del contributo di
solidarietà, che i calciatori vorrebbero (non detto ufficialmente,
almeno per ora) accollare ai club, nel nome dei loro contratti che
prevedono guadagni al netto delle tasse pagate dalle società. Se il
presidente della Federazione, Abete, ha pensato a tirare fuori dal
cilindro l’offerta di un contributo di 20 milioni (tolti a quale altra
attività?) per rifondere i club eventualmente colpiti da questo no dei
loro bipedi, ciò significa che il problema esiste, anche se il
contributo non è ancora legge.
Ovviamente nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Non
c’è ancora la squadra dei Maichei, o meglio tutti sono manichei e si
elidono l’uno con l’altro. Ovviamente inquadrare la questione nella
lotta della Lega contro la Federazione, un “affaire” di puro potere di
palazzo, è il minimo, visto che Casa Borgia al confronto del nostro mondo del pallone è una pensione per figlie di Maria.
Da sempre e per sempre nel mondo il comitato d’affari lotta contro chi
l’ente che detiene il potere burocratico e persino etico. Le armi del comitato sono in questo caso i soldi, sempre più soldi, soprattutto dai diritti televisivi,
quelle dell’ente consistono nella gestione complessiva di uno sport in
cui – percentuale italiana – appena uno su trentamila ce la fa a
guadagnarsi da vivere con esso, il resto è dilettantismo, tanto
teoricamente nobile quanto materialmente coatto. L’arbitro, il
governo, vede nel calcio il tranquillante di massa irrinunciabile, a
costo di una overdose che chimicamente si evolve in violenza passeggera:
non si accolla responsabilità, fa interventi spiccioli demagogici, è piena espressione di una politica finalmente bipartisan.
Diciamo che moralmente, per quello che può valere ancora questo avverbio, i calciatori sono i più sfacciati:
guadagnano cifre folli e nello sciopero comunque non perdono manco un
centesimo, perché le partite verranno recuperate. Lo sanno, scioperano
lo stesso: o sono i massimi gaglioffi-tiranni del mondo, o hanno da
parte rivelazioni segrete, o pensano che tanto siamo tutti imbecilli, e
del genere imbecille docile.
Propendiamo per la terza ipotesi, e sorridiamo di quelli che,
idealisti spinti, auspicano che da questa vicenda possa nascere un
rapporto nuovo fra calciofili e giocatori, fra calciofili e calcio.
Al fischio d’inizio tutto tornerà come prima, il mondo del pallone
resettato dalla lunga astinenza, dalla voglia matta di partite, dalle
prospettive di mercato con tante belle facce nuove, dalla voglia di
tutti di sbavare per gli idoli. Sono, siamo tutti o quasi drogati felici
di essere tali.
Onestà giornalistica, e non solo, vuole che a questo punto chi
critica abbia anche una proposta da avanzare. Secondo noi c’era e c’è
ancora il posto (non il tempo, ma si deve accettare che un rinvio non
sia la fine del mondo) per un commissario straordinario, nominato
dal Coni supremo ente sportivo però troppo a lungo assente dal grande
gioco, con il sì del governo, il quale commissario subito ordini che si
cominci comunque a giocare, con però immediatamente dopo le prime
partite una riunione fiume, tipo conclave, tutti blindati in una
stanzona da dove non si esce se non c’è l’accordo. Il presidente dei
calciatori, Tommasi, ha detto: “E’ chiaro che qualcuno vuole che non si
giochi”. Siccome non si gioca perché i calciatori non scendono in campo,
il conclave dovrebbe cominciare con lui che mette in prosa la sua
frase.
In senso orario, da in alto a sinistra: il capitano della Juventus Alessandro Del Piero, il capitano della Roma Francesco Totti, il capitano dell'Inter Javier Zanetti ed il capitano del Milan Gennaro Gattuso.
Ovviamente nessuno ha tutte le ragioni, nessuno ha tutti i torti. Non
c’è ancora la squadra dei Maichei, o meglio tutti sono manichei e si
elidono l’uno con l’altro. Ovviamente inquadrare la questione nella
lotta della Lega contro la Federazione, un “affaire” di puro potere di
palazzo, è il minimo, visto che Casa Borgia al confronto del nostro mondo del pallone è una pensione per figlie di Maria.
Da sempre e per sempre nel mondo il comitato d’affari lotta contro chi
l’ente che detiene il potere burocratico e persino etico. Le armi del comitato sono in questo caso i soldi, sempre più soldi, soprattutto dai diritti televisivi,
quelle dell’ente consistono nella gestione complessiva di uno sport in
cui – percentuale italiana – appena uno su trentamila ce la fa a
guadagnarsi da vivere con esso, il resto è dilettantismo, tanto
teoricamente nobile quanto materialmente coatto. L’arbitro, il
governo, vede nel calcio il tranquillante di massa irrinunciabile, a
costo di una overdose che chimicamente si evolve in violenza passeggera:
non si accolla responsabilità, fa interventi spiccioli demagogici, è piena espressione di una politica finalmente bipartisan.
Diciamo che moralmente, per quello che può valere ancora questo avverbio, i calciatori sono i più sfacciati:
guadagnano cifre folli e nello sciopero comunque non perdono manco un
centesimo, perché le partite verranno recuperate. Lo sanno, scioperano
lo stesso: o sono i massimi gaglioffi-tiranni del mondo, o hanno da
parte rivelazioni segrete, o pensano che tanto siamo tutti imbecilli, e
del genere imbecille docile.
Propendiamo per la terza ipotesi, e sorridiamo di quelli che,
idealisti spinti, auspicano che da questa vicenda possa nascere un
rapporto nuovo fra calciofili e giocatori, fra calciofili e calcio.
Al fischio d’inizio tutto tornerà come prima, il mondo del pallone
resettato dalla lunga astinenza, dalla voglia matta di partite, dalle
prospettive di mercato con tante belle facce nuove, dalla voglia di
tutti di sbavare per gli idoli. Sono, siamo tutti o quasi drogati felici
di essere tali.
Onestà giornalistica, e non solo, vuole che a questo punto chi
critica abbia anche una proposta da avanzare. Secondo noi c’era e c’è
ancora il posto (non il tempo, ma si deve accettare che un rinvio non
sia la fine del mondo) per un commissario straordinario, nominato
dal Coni supremo ente sportivo però troppo a lungo assente dal grande
gioco, con il sì del governo, il quale commissario subito ordini che si
cominci comunque a giocare, con però immediatamente dopo le prime
partite una riunione fiume, tipo conclave, tutti blindati in una
stanzona da dove non si esce se non c’è l’accordo. Il presidente dei
calciatori, Tommasi, ha detto: “E’ chiaro che qualcuno vuole che non si
giochi”. Siccome non si gioca perché i calciatori non scendono in campo,
il conclave dovrebbe cominciare con lui che mette in prosa la sua
frase.
Gian Paolo Ormezzano