Alì, i settant'anni del più grande

Festeggiamenti negli Stati Uniti per il compleanno di Cassius Clay-Muhammad Alì, forse il pugile più celebre di tutti i tempi. Oggi gravemente malato del morbo di Parkinson.

16/01/2012
Un momento dell'incontro tra Muhammad Alì e Joe Frazier nel 1975, per la corona mondiale dei massimi (foto Ansa).
Un momento dell'incontro tra Muhammad Alì e Joe Frazier nel 1975, per la corona mondiale dei massimi (foto Ansa).

Cassius Marcellus Clay compie settant’anni il 17 gennaio. Muhammad Alì ne compirà quarantotto il 26 febbraio. Si tratta della stessa persona, ma è meglio non ricordarlo ad Alì, che dal 1964 ha preso il nuovo nome facendosi duramente musulmano, lui figlio di una fervente cristiana battista e di un pittore d’insegne discretamente affermato. Era già uno dei pugili più popolari, era da un giorno campione del mondo, era il grande peso massimo che sapeva, parole sue, “pungere come un’ape e svolazzare come una farfalla”. Era pure un atleta nero bellissimo, alto 1,91, come peso massimo piuttosto leggero, 98 chili. Aveva sconfitto il giorno prima, appunto il 25 febbraio di quel 1964, Sonny Liston, “il terrore del ring”, in uno strano match, forse truccato a pro della mafia che aveva scommesso sul giovane Cassius Clay contro il grande favorito, un tipaccio vicino ad ambienti malavitosi. E in effetti lui, vincitore per ko al primo minuto, onestamente disse di non credere proprio di avere portato un colpo terribile, decisivo.

L'ex campione dei pesi massimi di pugilato, Muhammad Alì accolto da un'ovazione all'Olimpic Stadium di Atlanta, durante le Olimpiadi del 1996 (foto Ansa).
L'ex campione dei pesi massimi di pugilato, Muhammad Alì accolto da un'ovazione all'Olimpic Stadium di Atlanta, durante le Olimpiadi del 1996 (foto Ansa).


Rifiutato da sempre a parole il suo status di atleta da facile consumo da parte dei bianchi padroni, si fece musulmano seguendo la predicazione di Malcom X, e nel 1967 si negò come soldato statunitense ri-chiamato ad andare in Vietnam (una prima volta era stato scartato per scarsa istruzione). Disse: “Conosco i vietcong soltanto per quello che ci ha fatto vedere la televisione, comunque nessuno di loro mi ha mai dato pesantemente del negro, come invece accade nel mio Paese”. Il negro aveva gettato nel fiume della sua città, Louisville nel Kentucky razzista, la medaglia d’oro vinta ai Giochi olimpici di Roma 1960 fra i mediomassimi, per protesta contro il mondo bianco che in un ristorante gli aveva negato il posto a tavola per il colore della sua pelle. Rischiò il carcere, fu sospeso dal mestiere di pugile per indegnità, venne riammesso al ring nel 1971, quando sul Vietnam molti statunitensi la pensavano come lui. E riuscì a riprendersi il titolo.

Ancora una fase dello storico match tra Alì e Joe Frazier (foto Ansa).
Ancora una fase dello storico match tra Alì e Joe Frazier (foto Ansa).


Cassius Clay ha disputato nella carriera professionistica, dal 1961 al 1981, 61 incontri, vincendone 56, 37 dei quali per ko. Ha preso (1964-67), perso (1967-74, i primi tre anni per la sospensione), ripreso (1974-78) il titolo mondiale: con qualche interruzione per questioni burocratiche, sfide annunciate e ritirate, sospensioni, insomma roba extraring. Se una sua vittoria (Liston, la mafia…) è dubbia, le sue cinque sconfitte sono dovute a casualità di pugni “riusciti” o ad anagrafe all’occaso. Il primo che lo ha decisamente, chiaramente sconfitto si chiama Joe Frazier, e infatti la rivalità fra i due, affrontatisi tre volte (2 a 1 per il Nostro) è leggenda. Cassius Clay esordì alla boxe “pro” il 29 ottobre 1960 nella sua Louisville, battendo ai punti in sei riprese un certo Tonney Hunsacker. L’ultimo suo match il’11 dicembre 1981, contro Trevor Berbick che vinse ai punti in dieci riprese. Ernie Shravers è stato, con Joe Frazier, l’altro che lo ha messo decisamente a terra. Dal 1981 dello stop definitivo Clay-Alì patisce i dolori, i problemi e le umiliazioni del morbo di Parkinson, che lo ha mostrato tremolante e patetico, quando, ai Giochi di Atlanta 1996, toccò a lui l’ultima fiaccola, quella con cui accendere il tripode nella cerimonia inaugurale (e fu allora che gli venne dato il fac-simile della medaglia di Roma buttata in un fiume).

Un'immagine d'archivio dell'ex campione Usa di pugilato Cassius Clay-Muhammad Alì (foto Ansa).
Un'immagine d'archivio dell'ex campione Usa di pugilato Cassius Clay-Muhammad Alì (foto Ansa).


Ha avuto quattro mogli, ha collezionato sette figli (cinque maschi e due femmine), dei quali due avuti extraconiugalmente, prima del primo matrimonio, e uno adottivo. Una sua figlia, Laila, ha fatto pugilato, è stata la migliore al mondo, ha vinto venticinque incontri su venticinque. Adesso lui sta molto male, ha anche tanti vuoti di memoria, recita continuamente le poesie che scriveva quando era un re. È riuscito a scampare al destino di povertà che sembra attendere quasi tutti i pugili milionari, ha i soldi anche per una sua fondazione per la lotta al Parkinson.

30 ottobre 1974: il campione del mondo in carica dei pesi massimi, lo statunitense Muhammad Alì, durante lo storico combattimento con il connazionale George Foreman, a Kinshasa, nel Congo (foto Ansa).
30 ottobre 1974: il campione del mondo in carica dei pesi massimi, lo statunitense Muhammad Alì, durante lo storico combattimento con il connazionale George Foreman, a Kinshasa, nel Congo (foto Ansa).


La sua epopea è legata soprattutto a tre incontri, ovviamente definiti tutti “del secolo”: quello contro Sonny Liston, nel 1964 a Miami, con il campione in carica che – già detto - consegnò a Cassius Clay ventiduenne il titolo mondiale “sbattendo” la tempia contro un suo pugno neanche troppo violento; quello contro Joe Frazier (morto all’alba del 2012) che fu dichiarato vincitore ai punti, grazie ad un knock down che spedì per un brevissimo tempo Alì al tappeto e condizionò i giudici, alla fine di una sfida tremenda in cui molti videro in realtà prevalere Alì (New York, 8 marzo 1971), il quale Alì distrusse poi Frazier in una terza sfida, a Manila, quattordici riprese di massacro; quello contro George Foreman a Kinshasa, nel Congo, dove si confermò il più forte, il più grande, nella sfida detta del millennio. Dopo fu il declino, ma quella notte – 30 ottobre 1974 - lui stravinse, per abbandono del rivale all’ottava ripresa, per conto dei negri d’Africa, il continente delle sue radici a cui si era come riconsegnato, contro Foreman il negro d’America, sospettato di essere uno “zio Tom” amico dei bianchi. La gente di Kinshasa era tutta per lui, il grido in swahili era “Alì boma yè”, Alì uccidilo.

L'incontro tra Muhammad Alì (a destra) e Joe Frazier sul ring di Manila, il primo ottobre 1975 (foto Ansa).
L'incontro tra Muhammad Alì (a destra) e Joe Frazier sul ring di Manila, il primo ottobre 1975 (foto Ansa).


Sentivo bene quel grido mentre, a pochi giorni dal match, parlavo con Alì nella capitale della ex colonia belga, la repubblica detta Zaire (il nome locale del fiume Congo) sulla quale Mobutu regnava come un re spietato. Nella stanzetta dei massaggi, dentro lo stadio messo a nuovo per il match del secolo anzi del millennio, lui sdraiato sul lettino, Angelo Dundee, calabrese che di cognome vero faceva Merenda o giù di lì, il suo manager-confessore-guru, il giornalista italiano che stentava a capire l’inglese con il profondo “broad accent” del Sud del campione su cui operava un massaggiatore silenzioso. Avevo avuto lo straordinario privilegio di un’intervistona esclusiva grazie a Gianni Minà, collega/fratello, amico personale di Alì e di Dundee che mi aveva detto: “Nel nome di Gianni Alì ti riceve, nel nome di Dio e di Allah non chiamarlo mai Clay”.

L'ex campione del mondo di pugilato Muhammad Alì accende il tripode nello stadio di Atlanta, durante la cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici del 1996 (foto Ansa).
L'ex campione del mondo di pugilato Muhammad Alì accende il tripode nello stadio di Atlanta, durante la cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici del 1996 (foto Ansa).


Fuori dallo spogliatoio dello stadio strepitavano centinaia di giornalisti lì da tempo, il nuovo arrivato stava “dentro” con il campione troppo a lungo, stava sottraendo loro Alì alla brevissima quotidiana conferenza stampa di gruppo. Imbeccato da domande banali ma forse inevitabili su Roma nel suo ricordo, Alì parlava e straparlava, diceva che Roma ai suoi albori aveva avuto un re negro. Quale? Annibal o Asdrubal, non so bene. Annibale era cartaginese, arabo, e non è mai stato re di Roma. Gli feci l’elenco dei primi monarchi, anche Asdrubal non c’era. Mi intestardii e lui si infuriò, un paio di volte fece intendere che voleva alzarsi dal lettino e venirmi vicino per convincermi di quello che diceva. Dietro di lui Angelo mi faceva cenno di lasciar perdere. Lasciai perdere, e forse persi l’occasione di essere messso ko da Muhamadd Alì. O da Cassius Clay, a piacere (piacere?!).

Gian Paolo Ormezzano
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