Italiane in Coppa, povere ma belle

In Europa le nostre squadre restano legate al "catenaccio", più per la nostra debolezza che per la forza degli avversari. L’austerità snellisce e smagrisce.

21/09/2012
I giocatori del Napoli vittoriosi in casa contro gli svedesi dell’Aik (Ansa).
I giocatori del Napoli vittoriosi in casa contro gli svedesi dell’Aik (Ansa).

Su sei squadre italiane impegnate nell’avvio delle coppe calcistiche europee soltanto una ha vinto, il Napoli, 4 a 0 in casa sugli svedesi dell’Aik, modesti, con tre gol del cileno Vargas sino all’altro giorno oggetto misteriosetto: partita diciamo pure minore, di Europa League. Nessuna ha perso. Due dei quattro pareggi sono da leggere positivamente: in primis il 2 a 2 della Juventus a Londra, sul campo del Chelsea campione d’Europa di club, e in rimonta da 0 a 2. Un’impresa vera, anche se il Chelsea sembra in ribasso e i rischi dei bianconeri sono stati tanti, con Pirlo che ha smesso di essere faro, radar, condottiero. Non male lo 0 a 0 della Lazio, stavolta nella Londra del Tottenham, con qualche aiutino arbitrale.

La Juventus dopo il pareggio 2-2 contro il Chelsea nello stadio di Stamford Bridge, a Londra (Ansa).
La Juventus dopo il pareggio 2-2 contro il Chelsea nello stadio di Stamford Bridge, a Londra (Ansa).


Juventus in Champions League, manifestazione ricca e bella e bene frequentata; Lazio in Europa League
, manifestazione per grandi deluse, un po’ pletorica, dove rischia di contare soltanto l’ultima partita, quella della finalissima. Champions League anche per il Milan fermato al Meazza semivuoto dai modesti belgi dell’Anderlecht, con il Berlusconi furioso e l’allenatore Allegri in lite con Inzaghi, vecchia bandiera ora spedito ad allenare i giovani. Delle due nostre squadre in Champions (l’Udinese è stata esclusa nei preliminari) soltanto la Juventus sembra avere la struttura tecnica ed atletica per andare avanti nel torneo.

Emmanuel Badu dell'Udinese (a sinistra) e Samuel Eto'o della squadra russa dell'Anzhi durante la partita di Europa League (Ansa).
Emmanuel Badu dell'Udinese (a sinistra) e Samuel Eto'o della squadra russa dell'Anzhi durante la partita di Europa League (Ansa).


Sbattuta in Europa League, l’Udinese ha pareggiato in extremis (1 a1, gol dell’immortale Di Natale) con i russi dell’Anshi, che hanno Eto’o, cioè il più pagato del mondo (sui 20 milioni l’anno), e niente di più
. In extremis l’Inter ha riacchiappato sempre nel torneo minore (2 a 2, gol di Nakamoto difensore) i suoi russi, quelli del Rubin Kazan: settima volta di fila a San Siro che una squadra milanese non vince, si parla di incantamento imposto dalla nuova erba mezza sintetica, aiuto. Del Napoli abbiamo detto, dalla Lazio siamo stupiti, considerato il suo incertissimo precampionato.

La Lazio (in maglia nera) impegnata sul terreno del Tottenham, a Londra (Ansa).
La Lazio (in maglia nera) impegnata sul terreno del Tottenham, a Londra (Ansa).


L’idea generale è quella di un nostro difensivismo abbastanza catenacciaro e determinato non tanto dalla forza degli avversari, quanto dalla debolezza nostra. Il mercato ci ha visti o salassati dai nuovi ricchi o fermi per nostra nuova povertà, nessuna nostra squadra si è decisamente rinforzata. L’austerità snellisce e smagrisce, le nostre squadre sono più povere e belle e non grevi di antipatica opulenza, ma sono anche leggerine rispetto al passato loro e alle esigenze moderne imposte dalla forza altrui. Il Milan e l’Inter senza soldi per fare le redditizie pazzie d’un tempo sono una sorpresa, e la stessa Juventus presto o tardi dovrà soffrire il fatto di essere Fiat. Lazio e Napoli rischiano di non avere, al momento buono, il soldino per fare la lira, come si diceva un tempo parlando del salto di qualità, e l’Udinese sembra avere smarrito la bacchetta magica con cui faceva diventare campioni gli sconosciuti pescati a poco prezzo su mercati lontani.

L’insieme comunque sarebbe positivo, se non altro in chiave etica (mica poco…), se non fossimo italiani, anzi italiani calciomani. Una dieta dovrebbe sempre significare salute. Ma da noi non è così. Già la gente sospira i fasti di ieri, e non va negli stadi perché sa che non potrà fare festa. La situazione teoricamente è persino più di necessaria e utile presa di coscienza che di grossa crisi, ma ci vuole cervello per capirlo. Stiamo forse sciupando l’opportunità di una lezione di vita anche attraverso lo sport del pallone, che pure lezioni di vita riesce a darne di rado.

Gian Paolo Ormezzano
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