05/09/2012
Del Piero in occasione della sua ultima apparizione in campo a Torino (Reuters).
Non che saperlo sia decisivo per le sorti dell’umanità, ma
dobbiamo dire che probabilissimamente nessuno conoscerà mai la verità sulla fine del rapporto tra la
Juventus e il calciatore Alessandro Del Piero, dopo diciannove anni di
comunione di intenti e opere. Lui antico più che vecchio (quasi 38 anni ma un fisico abbastanza integro, frutto
di una vita certosina, perfetta per un atleta), lui ancora il cocco bello della
tifoseria bianconera (sua la maglia più venduta, quella col numero 10), lui
sempre in grado di cambiare una partita con un tocco magico, lui che finisce in
Australia, dove il calcio è pochissima cosa, a Sydney in un club di proprietà
russa, due anni a un milione e 600mila l’anno, tantissimi soldi per quasi tutti
i terricoli, pochissimi soldi per uno che nella sua carriera ha guadagnato di
solo football giocato, escluse pubblicità e sponsorizzazioni, più di 100 milioni,
lui che ha negozi e stabili e attività assortite, mandate avanti anche dal
fratello che gli fa da procuratore, in tante parti della Torino dove ha vissuto
lasciando il suo Veneto, una esistenza riservatissima prima in centro poi in
collina, lui che aveva richieste per giocare negli Usa, in Canada, in
Thailandia, in Giappone, in Inghilterra, in Svizzera, in Argentina, in Spagna e
si capisce in Italia.
Nella
conferenza-stampa dell’annuncio e dell’addio Del Piero, tesissimo, si è presentato
con la moglie amatissima, citatissima e con uno dei loro tre figli, ha chiesto
domande dopo essersi svuotato abbastanza in fretta del nulla che aveva da dire
(i trenta minuti iniziali erano trascorsi senza che Del Piero avesse mai
pronunciato la parola Juventus). Non ha riposto se non con giri di parole alla
domanda più semplice: perché la Juve lo ha scaricato?
Era il 18 ottobre quando in un’assembla degli azionisti della
Exor, che possiede il club per conto della famiglia Agnelli, il presidente bianconero Andrea Agnelli, nipote
dell’Avvocato che fu anche tanta Juventus, ha detto: “A giugno finisce il
nostro rapporto con Del Piero”. Amen. Da allora professioni reciproche di
stima, persino di amore, gli osanna costanti dei tifosi legatisssimi a lui ma
intanto non mai polemici con la presidenza bianconera, ma sempre il club di
qua, Del Piero di là. E alla fine restano soprattutto le parole della moglie:
“Sarebbe stato bello che lui finisse con la Juventus, anche perché calcia
ancora il pallone bene come nessuno”.
Del Piero festeggia con la moglie Sonia e i figli la conquista dell'ultimo scudetto (Reuters).
Non possiamo neppure ipotizzare un mistero fitto e torbido: in fondo, pensiamo, non ci sono trame troppo oscure, fatti sensazionali da occultare, al peggio c’è stato un litigio, con Del Piero che a fine contratto offriva al club la sua firma in bianco per il rinnovo e il padrone suscettibile che ha preso questo per una provocazione. Del Piero ha sempre detto che non avrebbe giocato in Italia con maglia non bianconera, ma club nostrani e stranieri lo hanno contattato. Tante offerte, pienamente vere o soltanto enfatizzate dagli indovini, compresa quella del Sion di Gattuso, soldi pochi ma una serenità quasi turistica, nella Svizzera a due passi da Torino.
Ma davvero era già deciso il sì all’Australia di Sidney, un modo per staccare da Torino intesa come Juventus e di lasciare scorrere un bel po’ di tempo in una sorta di lontana, tranquilla camera di decompressione per un rientro da ricco e attivo signore, non da dirigente juventino, in quella che ormai è la città sua, oltre che della moglie torinese e dei tre figli nati sotto la Mole. Un mistero, se si vuole, ma almeno un mistero non greve e non grave. Ben altri misteri coltiva il calcio italiano.
Coltiva? Be’, genera, ospita, ovatta, nasconde, gestisce, patisce… E soprattutto concima. Un mistero quasi divertente: si pensi che Del Piero è arrivato alla conferenza-stampa del Lingotto, posto della Fiat paleoindustriale, su un’auto giapponese, e ha parlato nella cosiddetta “bolla”, la sala sospesa voluta da Gianni Agnelli, dove si tenne addirittura un G7. Ha chiesto domande, dopo avere annunciato tutto del suo futuro prossimo e non avere svelato nulla del suo passato neanche troppo remoto. Ha risposto a tutti i quesiti usando il dribbling suo magico per quello essenziale: come mai è finito un rapporto di cui tutti adesso si dicono fieri e nostalgici? La moglie ha socchiuso una porticina: “Certo era bello se Alessandro finiva la carriera giocando con la Juv e…”. Ma per passare nello spiraglio offerto bisogna essere così magri da non tenere dentro neppure i pensieri.
Se ne va in Australia il meno divo dei divi del pallone, il più riservato, il più saggio dei campioni del pallone, il meno gaglioffo (anzi) dei ricconi con i piedi, il più moralmente a posto, tutto casa e chiesa bianconera. Parlano bene eccome di lui una carriera perfetta ed onesta, e anche don Luigi Ciotti che lo ha sposato con Sonia e Luciana Littizzetto che lo annovera fra i suoi amici più schietti. Il timore nostro è che lui fosse diventato scomodo per il nostro calcio, lui che non recitava, non eccitava scientemente, al massimo mostrava la lingua al mondo se segnava un gran gol, lui che stava in panchina senza polemizzare, lui che –e sarebbe splendido – forse era scocciato da tensioni, beghe, bugie, piccinerie, illeciti. Abbiamo detto timore nostro, ma pensiamo che per molti Del Piero lontano sia una sorta di sollievo. Purtroppo.
Gian Paolo Ormezzano