Doping, il parafulmine del ciclismo

Fa comodo a tutti gli sport, soprattutto quelli dove i controlli antidoping sono praticamente inesistenti, usare questa dura disciplina come sfogatoio alla sospettosità popolare.

31/01/2011
Il lussemburgehse Andy Schleck, considerato il nuovo Merckx, potrebbe vedersi aggiudicare a tavolino il Tour de France del 2010, se sarà confermata la squalifica per doping ad Alberto Contador.
Il lussemburgehse Andy Schleck, considerato il nuovo Merckx, potrebbe vedersi aggiudicare a tavolino il Tour de France del 2010, se sarà confermata la squalifica per doping ad Alberto Contador.

Il ciclista lussemburghese Andy Schleck, secondo al Tour de France 2009 e 2010, sempre dietro allo spagnolo Alberto Contador, sta aspettando di venire proclamato vincitore dell’edizione dello scorso anno, perché lo stesso Contador sta a sua volta aspettando una squalifica per il doping “scopertogli” da un controllo proprio nell’ultima edizione della grande corsa a tappe francese. Schleck ha già detto che preferisce vincere sulla strada e non a tavolino, ed ha già individuato il rivale massimo del Tour 2011, il nostro Ivan Basso. Non ha infierito contro lo spagnolo, che pure gli ha tolto illegalmente quel successo che in una corsa pulita probabilissimamente sarebbe già stato suo, e ha invece criticato quel mondo dello sport che non registra fenomeni di doping per la semplice ragione che non si è dato un efficace o quanto meno serio controllo antidoping. Sembrava che avesse letto qualche nostro intervento, cartaceo o elettronico, sul tema…

Schleck, che molti vedono come un Merckx prossimo venturo (fra l’altro con un cognome similmente irto di consonanti, da tabellone di ottico), ha citato come sport seriamente controllati nuoto e atletica, ha scordato lo sci, almeno quello nordico, ed il sollevamento pesi. Ha citato come sport senza seri controlli il calcio e il tennis, e siamo pienamente d’accordo. La sua tesi, per cui il ciclismo sarebbe lo sport più pulito proprio perché è il più controllato (ogni pedalatore subisce ogni anno decine e decine di test, deve essere sempre disponibile a qualche prelievo, segnalando casomai recapiti insoliti anche nei giorni di vacanza, e deve tenere sempre in regola con i valori ortodossi il suo passaporto biologico, che in altri sport manco si sa cosa sia), la sua tesi dicevamo sembra spavalda e quasi paradossale, ma secondo noi è giusta.

L’antidoping nel calcio, nel tennis, nel motorismo, in tutto il grande sport professionistico di squadra, quasi non esiste, e al massimo si limita ad operazioni di facciata. Fra l’altro dove circola molto denaro le autorità sportive temono gli interventi della giustizia ordinaria, sempre incline a dare ragione ai cosiddetti “lavoratori” dello sport, anche e specialmente se sono professionisti milionari, La grande retata spagnola legata ai misfatti del dottor Eufemiano Fuentes, la non ancora finita Operaciòn Puerto, ha colpito i ciclisti, fra i quali Basso, ma si è fermata davanti alle sacche di sangue “trattato” di calciatori e tennisti celebri.

Intanto il calcio lamenta orma una serie impressionante di infortuni, e mica solo in Italia. Questo nonostante che non si giochi troppo duramente, perché adesso la tecnologia televisiva smaschera e dunque paralizza i violenti. Gli infortuni sono tipici di fisici che hanno il motore di un bolide di F1 (cioè i muscoli aumentati chimicamente, altro che la palestra dove l’atleta dovrebbe passare trenta ore al giorno per ottenere gli stessi risultati…) e la carrozzeria di una utilitaria: legamenti, cartilagini, anche ossa cedono se sottoposti a “velocità” eccessive, a sollecitazioni intensissime.

Una scusa molto usata è quella dei troppi impegni che significano esposizione a troppi traumi: sembra valida, ma soltanto se non si vuole considerare che casomai i tanti impegni stressano, prima ancora di rompere, e che comunque allenano il fisico a sopportarli, a reggerli. E comunque anche la più serrata serie di partite calcistiche o il torneo tennistico che porta l’atleta alla finale sono impegni minori di quelli di un ciclista al Giro o al Tour.

Ma fa troppo comodo a tutto lo sport usare l’ingenuo ciclismo e poi magari altre discipline seriamente controllate e dunque visitate da dure sentenze, per avere un parafulmine, uno sfogatoio alla cosiddetta indignazione o comunque sospettosità popolare. A meno che questo altro sport non abbia già deciso che in fondo il problema del doping è poca cosa, quantomeno dal punto di vista etico, rispetto al problema della droga: e insomma ci sarebbero cose più serie a cui pensare che non a controllare sangue e urina…

Gian Paolo Ormezzano
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