28/11/2011
Sebastian Vettel, campione del mondo di Formula 1 anche nel 2011, dopo il titolo iridato del 2010, con la Red Bull.
Due titoli mondiali consecutivi, per il pilota e per la scuderia, con noiosa prevedibilità di esiti, non sarebbero considerati dal mondo della Formula 1 una mezza iattura, sul piano dell’interesse, soltanto se a vincerli fosse un conduttore di grande fascino a bordo di una vettura di grande nome, tipo Ferrari, o McLaren, o Renault. Ma è un problema di notorietà troppo rapida e facile questo Sebastian Vettel, tedesco di appena 24 anni (sembra quasi un’aggravante, da “…ma come si permette?”), che ha dominato il 2010 e ancor più (11 vittorie) il 2011, che già in possesso di record di gioventù “iridata” lo ha raddoppiato ed è pure arrivato al primato assoluto di pole position nella stessa stagione (15, meglio di Nigel Mansell 1992), che si è permesso di fingere un problema al cambio per regalare l’ultimo gran premio al compagno di squadra anziano, Marc Webber australiano, 35 anni.
Fernando Alonso in un passaggio dell'ultimo Gran Premio della Corea.
Lo è questa vettura Red Bull, industria austriaca di bevande energetiche, motore Renault, che è arrivata soltanto nel 2005 acqustando la scuderia Minardi, motori Ferrari, e che domina spendendo poco e comunque meno delle grandi (190 milioni per la stagione). E’ questo progettista inglese, Adrian Newey, 58 anni, pittore mancino, che risolve i problemi di aderenza e aerodinamica con un anno di anticipo sugli altri, facendo stravincere vetture che hanno una velocità assoluta minore di tante altre. Questo binomio anzi trinomio macchina-uomini ha riso in faccia alla cosiddetta tradizione, all’esperienza che talora stratificando diventa zavorra, e adesso appare irraggiungibile e minaccia noia anche per il 2012. Ci saranno nuovi circuiti, farà progressi il partito “montezemoliano” di un terzo pilota per le scuderie grosse, verranno escogitate nuove limitazioni di prove e di spese, ma se davvero l’automobilismo da altissima velocità è una cosa seria e scientifica quale dicono che sia, non si capisce bene come possa riuscire il miracolismo acrobatico di cambiare i valori in un solo inverno (ma almeno la Ferrari sta lavorando da mesi al rinnovamento, dopo avere capito in tempo di essere troppo indietro per poter tirare avanti, facendo bella figura, soltanto con i rattoppi ad un abito vecchio).
Micheal Schumacher, pilota della Mercedes.
Ecco, di fronte a Sebastian Vettel più algido se possibile dello stesso suo connazionale Michael Schumacher, ci sentiamo abbastanza sprovveduti di aggettivazioni e spiegazioni diciamo convenzionali. Una simile dominazione non poteva esser prevista da nessun ipercompetente, di quelli che sostengono che il miglioramento di un centesimo di secondo al giro presuppone un formidabile lunghissimo lavoro di supertecnici geniali e di maestranze devote, col doping del denaro e con il tranquillante dell’esperienza. E se poi si dovesse desumere dal tutto che così la Formula 1 rifrequenta o scopre o riscopre una dimensione meno tecnica e più umana, apprendendo e facendo sapere che esistono ancora grandi spazi per l’inventiva, l’audacia, persino l’improvvisaszione, tanto meglio dal punto di vista appunto umano e persino, per quel che riguarda gli scribi, umanistico.
Il pilota spagnolo della Ferrari Fernando Alonso, terzo nella classifica finale del Mondiale di Formula 1.
Comunque c’è un risvolto umanissimo anche a favore della Ferrari, nel senso che proprio non ci sembra che si sia perduto per strada, o se si vuole dir meglio in pista, un atomo dell’entusiasmo sempre speranzoso dei suoi tifosi in tutto il mondo, capaci di entusiasmarsi per un solo successo stagionale (in Gran Bretagna) ed alcuni podi ed il terzo posto dello spagnolo nella classifica finale, che si sia perduta una sola molecola dell’affetto che fa capo alla gente di Maranello, qualche che essa sia. E segnaliamo pure l’aspetto altamente positivo del rapporto tra la Ferrari e lo stesso Fernando Alonso, il pilota straniero che parla un perfetto italiano, ce la mette sempre tutta, ha vinto tanto nel passato ma ha l’umiltà di cercare anche i piazzamenti, e insomma è stato confermato sino al 2016. Cose belle da parte di chi chi non solo programma il futuro, e dunque non ha paura di esso, ma gli si affida in pieno, anche e soprattutto quando il presente viene fagocitato in fretta da chi, voracemente e legalmente intanto che un po’ misteriosamente, ha saputo inventarsi la bacchetta magica.
Gian Paolo Ormezzano