Gasperini nerazzurro: promosso

Un personaggio non pirotecnico, non buffone, non provocatore. Semplicemente serio. Secondo noi la scelta migliore che potesse fare l'Inter di Moratti.

24/06/2011
Gian Piero Gasperini, il nuovo allenatore dell'Inter.
Gian Piero Gasperini, il nuovo allenatore dell'Inter.

La scelta che Massimo Moratti ha fatto per la sua Inter, quella di Gian Piero Gasperini allenatore, viene presentata come un ripiego, dopo i no - di Vilas Boas, Belsa, Mihailovic, Ancelotti… - che qualcuno ha visto come umiliazioni per il club campione del mondo. Ma a noi appaiono, questi no, come rischi che l’Inter ha masochisticamente cercato e altri le hanno evitato, casualmente e no: visto che il bonus con la fortuna che fa andar bene tutto è stato già giocato (Mourinho). Secondo noi, è la scelta migliore che si potesse fare. Il fatto che possa scontentare tifosi urlanti o mugugnanti, vogliosi del totem che li annichilisce, e giornalisti terrorizzati dall’idea di dovere aver a che fare con un personaggio non pirotecnico, non buffone, non provocatore, semplicemente serio, sono prove a conforto della nostra scelta morale, nonché di quella diciamo materiale del club.

Cerchiamo di spiegarci, con una premessa: l’allenatore conta poco, specialmente se in squadra ci sono campioni che non solo non accettano lezioni di calcio, ma decidono (e spesso così risolvono le partite) di testa loro. Il grande Nereo Rocco diceva che il bravo allenatore è quello che limita i danni che potrebbe fare, Sergio Vatta, che rese grande il vivaio del Torino, ci disse che non solo un gol che è uno non è mai stato segnato seguendo una schema programmato, ma che neppure un tiro è mai stato effettuato come provato in allenamento. L’allenatore conta per un club se sa fare bene il suo lavoro mediatico, se insomma sa tenere viva e forte l’attenzione, sa fare rispettare il suo mondo, sa difendere il presidente… Se sa anche insegnare un pochino di calcio, non è un male, ecco. Ma questo non solo non gli viene chiesto, ma spesso gli viene sconsigliato per non irritare i divi. Si dice, anche, che lo spogliatoio è la vera forza di una squadra, e che il grande allenatore è soprattutto il guru dello spogliatoio: così si crea il mistero affascinante di cosa capiti mai nello spogliatoio. Ma nessun gol viene segnato dallo spogliatoio, dove in genere capitano cose normalissime.

Gian Piero Gasperini, classe 1958, “rischia” di fare nell’Inter il buon lavoro che fece uno come lui, Gigi Simoni, ovviamente misconosciuto e trattato male e spappolato dal morattismo. Può insegnare qualcosina di calcio, ma soprattutto può partecipare e ridare il gusto della semplicità casareccia, della sdrammatizzazione, dopo Mourinho stregonesco, Benitez professorale, Leonardo strarampante. Abbiamo incontrato Gasperini nella sua Torino (è di Grugliasco, primissima cintura) la sera del 17 marzo, cominciavano sotto una pioggia battente le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità, c’era una bella piccola coreografia diciamo sabauda sotto l’atrio del palazzo della Regione, ci partecipò la sua quasi felicità, la sua assoluta serenità di essere lì a fare l’uomo qualunque, bagnato e qualunque. Dicono che le ultime esitazioni sulla sua assunzione hanno riguardato il contratto, proposto come troppo corto (un anno). Noi proprio non vediamo Gasperini come uno che parla di soldi e di scadenze con Moratti.

Ha fatto da centrocampista il giocatore nella Juventus sino alla Coppa Italia, nel Palermo, nel Pescara sino alla Serie A, ha allenato i giovani bianconeri sino alla vittoria nel torneo di Viareggio, il Crotone sino alla promozione in B, il Genoa (2006-2010) sino a che ha retto lo sconcertante funambolico acrobatico picassiano presidente Preziosi. E’ stato semplicemente un insegnante di calcio semplice, di quel poco che si può onestamente insegnare: in fondo anche lo schermitore più titolato del mondo va ancora dal vecchio maestro a ripassare i fondamentali.

Ovviamente Gasperini ha dei gravi difetti: ad esempio costa poco, sempre nel relativo della follia di base di certi stipendi, e non fa spendere troppo pretendendo di portare con sé la tribù che si chiama staff. Conosce già alcuni nerazzurri, li ha avuti al Genoa: Milito, Thiago Motta, Ranocchia, Kharja, e non ci starà mai a trattarli da divi. Sa scherzare anche su se stesso, non gioca a fare il mago, è riuscito persino a non intristirsi quando la Juventus ha pensato bene, cioè male, di non dover usare il suo talento, la sua sapienza, anche il suo affetto, e insomma non gli ha affidato la prima squadra.

A Moratti è andata bene, benissimo. Ha cercato invano di farsi del male spendendo milioni per un nome celebre. Ha capito che esistono persone capaci di dirgli di no senza però pensare o parlare male di lui: una conquista. Non ha fato una scelta di seconda fascia, una scelta coatta, una scelta di ripiego. Non ha fatto neanche una scelta. Ha assunto un allenatore “altro”, diverso, assolutamente non speciale e neanche “special”. Un affare, pensiamo, perché siamo sì certi che gli allenatori contano poco, sono maestri di bluff per succubi del bluff, ma siamo altrettanto certi che i veri uomini contano molto, e pazienza se fanno anche gli allenatori.

Gian Paolo Ormezzano
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