22/05/2012
Matteo Rabottini, vincitore della tappa del 20 maggio (foto Ansa).
L’edizione numero 95 del Giro d’Italia che si conclude domenica 27 è stata
sinora un gran bel giro del mondo in chiave mediatica: nel senso che hanno vinto
le tappe o messo la maglia rosa o si sono comunque fatti notare non solo per il
passaporto anomalo pedalatori di Costarica e Canada, Inghilterra e Venezuela,
Cecoslovacchia e Uzekistan, Australia e Lituania…
Mancano, è vero, pezzi enormi
di mondo, come l’Africa araba e nera (il Sudafrica bianconero c’è) dove una
bicicletta costa ancora tropo, come la Cina, l’India e il Brasile alle prese con
una scalata economica mondiale che vuol dire “pedalare” ma in un altro senso.
Però intanto sembra mezzo evaporato il ciclismo classico e dominante di Italia,
Belgio e Francia (desaparecida, anche se il suo Tour è sempre più la passerella
massima, la corsa che da sola vale tutte le altre messe insieme), con aggiunte
sporadiche di Svizzera, Spagna, Germania, Olanda, Inghilterra, Irlanda, persino
Lussemburgo, e casomai incursioni di personaggi grandi statunitensi e russi. E
si nota che il francese, sino a ieri la koiné riconosciuta del mondo della
bicicletta, è ormai soverchiato dall’inglese, nel lessico ufficiale come nelle
interviste, intanto che prosperano lo spagnolo, grazie ai latinoamericani e,
perché no?, l’italiano dei molti, su tutti l’inglese Cavendish sprinter massimo,
che hanno scelto il Bel Paese per allenarsi. L’inglese che è anche la lingua del
presidente della federazione internazionale, l’irlandese McQuaid.
Il Giro d’Italia che riprende, dopo il secondo e ultimo giorno di riposo (il
primo era stato usato per il ritorno in Italia della carovana, dalla Danimarca
dove la corsa era cominciata e si era fermata per tre assurde tappette), con
davanti un vasto programma di scalate, sino a quella massima allo Stelvio il
penultimo giorno,prima della conclusione a cronometro, 30 km per le
strade di Milano, è ripartito con una classifica capeggiata da uno
spagnolo, Joaquin Rodriguez, che alla vigilia faceva parte del gruppetto dei
favoriti.
Rodriguez con pochi secondi di vantaggio sul canadese Hesjedal, che
alla vigilia era un nessuno o poco più.
In pochi secondi raggrumati tanti
pedalatori, compreso il nostro Basso, che ha preso il via favorito per il terzo
suo successo anche se ha quasi 35 anni, o anche perché ha quasi 35 anni. Pochi
gli altri cognomi per proposte serie di classifica finale: il nostro Scarponi,
primo a tavolino del Giro 2011 tolto allo spagnolo Contador dai tribunali
antidoping, il ceko Kreuziger, che avrebbe le stimmate del campione, forse il
nostro Tiralongo…
In mezzo tanti corridori di stazza media, tanto assemblaggio
di valori freschi anche se non grandi, tanta confusione.
Per taluni questa
incertezza, diremmo questa vaghezza di valori, con spazio agli improvvisatori, è
il pregio “poetico” del Giro 2012, per altri è il limite. Per taluni è la prova
che la corsa è combattuta da tanti, senza un “eroe” che appiattisca il resto del
mondo, per altri è la prova che troppi usano il Giro d’Italia per allenarsi al
Tour de France (sospetti anche sul lussemburghese Frank Schleck, un favorito che
si è ritirato al primo bubù).
C’è stata sinora una sola tappa combattuto dall’inizio, tormentata dal clima, ricca di salite ma senza lo spauracchio frenante di montagne troppo alte, insomma una tappa “giusta”: e l’ha vinta,la vigilia del riposo, a Pian dei Resinelli, Rabottini fachiro capace di una fuga solitaria lunghissima , senza contrasto, nella volata a due, da parte di Rodriguez contentissimo della maglia rosa ripresa ad Hesjedal (le tappe di salita non danno abbuoni, si può anche essere generosi con il compagno ultimo di avventura).
Non c’è stata sinora la grande impresa, e forse non ci sarà anche se il programma prevede un mercoledì dolomitico con arrivo a Cortina, un venerdì con due ascese al monte Pampeago traguardo finale, il sabato il Mortirolo prima dell’arrivo sullo Stelvio: si parla troppo di scalate terribili, tutti avranno paura di forzare e rompersi. Ma chi conosce e ama il ciclismo sa anche compiacersi dei particolari, dei dettagli: un Rabottini che vince sbalordito dal suo stesso ardire colpisce più di un Basso che sin troppo calmo controlla la corsa.
Il tutto finora in un maggio di clima pazzo, con tanto più cielo grigio che azzurro, tanto più gelo che sole, ma intanto senza l’epica forte e facile della tragedia atmosferica. E – tocchiamo ferro, anzi titanio delle moderne biciclette – senza doping.
Gian Paolo Ormezzano