«Chi ha avuto di più deve dare di più»

L'ex calciatore Marcel Desailly torna in Italia come testimonial della Fondazione Laureus, in aiuto dei giovani disagiati, attraverso l'insegnamento che proviene dallo sport

21/12/2012
Marcel Desailly quando giocava nel Milan (Ansa).
Marcel Desailly quando giocava nel Milan (Ansa).

Ritorno alle radici. Nato in Ghana, cresciuto in Francia, poi tornato al Paese natio, a carriera chiusa. È tornato ad Accra, la capitale, città che gli ha dato i natali. Ma gira il mondo come ambasciatore del calcio, soprattutto per beneficenza. Una tappa in Italia, passando per Napoli, a romuovere l’attività della fondazione Laureus, che l’ha voluto tra i suoi testimonial. Un’occasione per parlare del passato e del presente di Marcel Desailly, ex milanista, un palmarés che comprende in titolo mondiale e uno europeo, oltre a un paio di Champions League (con Olympique Marsiglia e Milan).

Desailly, sono tanti gli ex calciatori che restano nel mondo del calcio: come mai lei lo ha abbandonato?

«Il calcio mi piace, continuerà a piacermi, lo seguirò sempre. Del resto, non è raro sentirmi nelle vesti di commentatore televisivo. Ma il calcio è pure molto stressante, certi ritmi sono insostenibili se durano tutta la vita, almeno per me».

Una chance di tornare c’è stata, vero?
«In realtà, s’è parlato di un mio possibile approdo sulla panchina del Ghana, ma onestamente non penso proprio che ci sia mai stata una reale chance».

Ci sono state anche delle polemiche: è vero che ha chiesto una cifra esorbitante?
«Macché, sono solo speculazioni. Non potrebbe mai essere una questione di soldi il mio arrivo sulla panchina del Ghana. Guidare i Black stars sarebbe una questione di cuore».

Molti si sono meravigliati quando è tornato a vivere nel suo Paese: come mai questa scelta?
«Sono nato ad Accra, sono andato via prestissimo. Accra è la mia città, il Ghana è il Paese delle mie origini: mi sembra normale voler vivere in quel mondo, quelle atmosfere, quella realtà».

È in Italia per la fondazione Laureus: cosa rappresenta per lei?
«Un modo per rendermi utile al prossimo, un dovere per chi dalla vita ha avuto tanto. Ci si occupa di ragazzi disagiati, provando ad aiutarli a uscire da situazioni di vita difficili».

Lo sport può dare una mano?
«Lo sport, come la scuola e la famiglia, è determinante nella formazione dei ragazzi. Sport non è solo competizione, ma anche educazione e socialità: lo scopo che ci prefiggiamo è far crescere i giovani sotto tutti gli aspetti attraverso la pratica sportiva».

Drogba che costruisce ospedali, Vieira che alleva piccoli calciatori, lei e altri: i calciatori africani sono sempre più sensibili ai problemi dei loro Paesi d’origine?
«Come dicevo, è normale: chi ha avuto tanto dalla vita può e deve fare almeno un gesto per chi al contrario non ha avuto nulla».

Tornando al calcio, a quando l’esplosione di quello africano?
«Non sono mancati buoni risultati, ma è vero che non è mai arrivata l’attesa esplosione. Il problema è uno: il talento c’è ma mancano strutture e organizzazione».

Segue il calcio italiano?
«Certo, e non solo quello».

Chi vincerà il campionato?
«Se devo fare un pronostico secco, dico Juve: mi piace molto per come gioca».

E il suo Milan?
«Speravo si riprendesse, sono contento ci stia riuscendo. Ma è normale non sia una stagione facile, dopo le pesanti cessioni estive».
 
Paragoni tra Abramovich e Berlusconi?
«Personalità opposte. Abramovich è quel che appare a guardarlo in tv, una persona semplice. E poi è sempre calmo e tranquillo. Berlusconi è vulcanico: ricordo che quando cominciava a parlare sembrava non volesse più smettere».

Il calcio in Italia è cambiato dai suoi tempi?
«Sì, molto. Allora era il campionato più in vista, ora il livello è sceso un po'»


È il momento della Francia?
«Più che altro, c’è la novità Paris Saint Germain. Non è questione di calcio francese, lì la differenza la fanno i soldi degli arabi. Hanno messo su una grande rosa, ora tocca a loro farne una squadra vera».

Ivo Romano
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