Pietrangeli: che emozione la Davis

Intervista con Nicola Pietrangeli: il tennis è sport individuale per eccellenza, ma giocare la Coppa Davis significa misurarsi con un'intera Nazione, non solo con sé stessi.

28/09/2012
Nicola Pietrangeli nel 1960 a Wimbledon (foto Corbis).
Nicola Pietrangeli nel 1960 a Wimbledon (foto Corbis).

Come lui, nessuno. Nicola Pietrangeli, autentico mito del tennis italiano, inserito nella Hall of Fame come un solo altro italiano, Gianni Clerici.
In campo, il migliore: 2 successi al Roland Garros, 4 finali al Foro Italico, una semifinale a Wimbledon, e chi più ne ha più ne metta.
Per eleganza, ineguagliabile, o quasi: sempre inappuntabile, a dimostrare ben meno dei suoi 79 anni. Come pure per presenzialismo: dove c’è tennis, c’è lui, spesso al fianco dell’amica Lea Pericoli.
Come a Napoli, per il week-end di Coppa Davis. Una tre giorni interminabile e non il massimo sotto il profilo tecnico, ma Pietrangeli sempre in tribuna, con gli occhi fissi sul campo, senza quasi perdersi neanche uno scambio. La Coppa Davis, uno dei grandi amori, anche da ex capitano dei tempi migliori.
Quattro chiacchiere, in argomento Davis, a margine della vittoriosa sfida di Napoli col Cile.

Nicola Pietrangeli oggi (Ansa).
Nicola Pietrangeli oggi (Ansa).

- Altri tempi, quelli in cui la sua Italia sfidava il Cile per portare a casa l’Insalatiera?
A parte il clima politico di allora, con tutte le polemiche che portarono a quella trasferta, è stata comunque un’altra cosa. Innanzitutto, quella era una finale e questo uno spareggio. Ma, soprattutto, quel che cambia sono i valori tecnici.



- Quanto vale l’attuale Italia di Davis?
Quel che ha dimostrato sul campo. E’ una fortissima squadra di serie B, che può stare nel gruppo maggiore come ora se il sorteggio dà una mano. E magari l’anno prossimo può anche andare più avanti, senza essere costretta allo spareggio-salvezza: E’ anche una questione di fortuna: se becchi una rivale nettamente più forte il cammino si ferma, altrimenti è tutto diverso.



- Ma è ancora attuale, nel tennis moderno, una competizione come la Coppa Davis?
La Davis conserva un suo fascino, con una formula che la rende divertente e regala anche qualche sorpresa, altrimenti vincerebbero sempre gli stessi. Va da sé che il tennis è sport individuale per eccellenza, ma giocare la Coppa Davis aiuta comunque i giocatori, chiamati a misurarsi con le necessità di una squadra e con il peso di rappresentare una nazione e non solo se stessi.

- Un gran peso?

Se perdi in un torneo fai i conti solo con te stesso: e poi nel tennis moderno può capitare di perdere anche da giocatori con classifica peggiore. Mentre in Coppa Davis sei davanti agli occhi di tutti. E, in Italia, si sa che un po’ tutti si sentono ct, anche quelli che ne capiscono ben poco.



- A proposito di ct, quanto conta il capitano non giocatore?

Conta poco, e solo nella scelta dei giocatori e nella gestione del gruppo. Il resto è sulle spalle di chi va in campo. Se si vince il merito è dei giocatori, se si perde è loro il demerito. In caso di insuccesso, sarebbe troppo facile scaricare le colpe su altri, capitano o federazione che sia.



- Vuol dire che ha avuto pochi meriti nella conquista della Coppa Davis nel 1976?

Mi sembra di averlo sempre detto quando ero capitano di Davis: il mio unico merito era quello di portarli sul campo, il resto era farina del loro sacco.



- Secondo lei vale anche per gli altri sport?

Certo, non penserà mica che qualcuno potesse insegnare qualcosa a Maradona.



- Quindi, dilemma risolto: l’allenatore nel calcio serve a poco?

E’ utile solo per alcuni aspetti, anche se nel calcio moderno è sempre più curato l’aspetto tattico. Ma ricordo di essermi allenato con la Lazio ai tempi di Maestrelli: il grosso del suo lavoro era sul gruppo, mentre sotto il profilo tecnico-tattico diceva ben poco.



- E’ vero che il calcio è stato il suo primo amore?

Ero bravo, anche. Fino alla maggiore età ero più forte come calciatore che come tennista.



- In che ruolo?

Centravanti.



- Segnava tanto?

Più di un gol a partita.



- Ottima media: a che livello?

Con la Lazio: sono stato nel settore giovanile.



- Come mai scelse il tennis?

Cambiai sport quando decisero di darmi in prestito in serie C: fu il momento in cui lascia il calcio. La scelta del tennis mi venne spontanea, soprattutto per via della mia passione per i viaggi: pensai che col tennis avrei viaggiato molto di più.



- Scelta più che azzeccata.

Direi proprio di sì: ho viaggiato tantissimo e ho avuto una brillante carriera. Meglio di così, non si poteva.

Ivo Romano
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