08/09/2011
Gli azzurri esultano al gol di Pazzini contro la Slovenia.
Qualificata per la fase finale degli Europei con due turni di anticipo, come mai prima, sulla manifestazione che Ucraina e Polonia ospiteranno nella prossima estate, la Nazionale azzurra non è felicemente, fortunatamente l’espressione del calcio italiano, che è farcito di stranieri, ricco di voglie e povero di entusiasmi, minato da una violenza immanente per non dire imminente, ricco di vizi e povero di allegrie, persino venato di razzismo e di confusione (oh lo sciopero che sempre più non trova i padri, gli ispiratori che pure devono essere esistiti, visto che il campionato comincia appena adesso, con la prima giornata da recuperare).
La Nazionale, guidata da un uomo dabbene al quale si spera non venga riservata la fine umiliata di un Donadoni, omologo di Prandelli per chiara semplicità, ha persino giocatori non miliardari e non frequenta nessun razzismo, neppure quello, quasi automatico, dei miliardari verso i milionari, ha persino giocatori di altri campionati (Rossi in Spagna, Balotelli in Inghilterra, e alcun italiani “stranieri” nelle loro squadre, dove manco sono titolari sicuri), non crea problemi ai club, se è vero che con Pirlo sa fare a meno di Del Piero e di Totti, i casi difficili – sul positivo il primo quanto a disciplinato rendimento, sul negativo il secondo quanto a vis polemica del personaggio – di Juventus e Roma.
Sembra quasi una squadra irreale, di fantasia. Una squadra “contro”. Contro Il resto del nostro calcio. Non pratica un grande gioco, perché non ha i campioni, ma cerca di recitare con umiltà il copione tecnico-tattico-atletico del superBarcellona, prediligendo la manovra e il passaggio laterale al pallone lungo e alla percussione. E pazienza se vince la partita decisiva sulla Slovenia con un gol di Pazzini segnato, come dire?, alla buona, fra rimpalli e casualità e capacità fainesca, furba e veloce, di far propria la preda. Prandelli ha convocato in due anni scarsi 52 giocatori, facendone esordire all’azzurro 24.
Pochi di costoro sono attrazioni grosse delle loro squadre di club, alcuni sono addirittura in discussione presso chi li paga e/o presso le tifoserie. A Prandelli, per Prandelli danno il massimo: che magari non è moltissimo, ma garantisce che ognuno svuoti il suo bicchiere di tutto quello che ha, finendo ogni incontro senza riserve di fato odi polemica. Non siamo assolutamente i favoriti per gli Europei, ma l’ipotesi che ognuno faccia il suo dovere non è da buttar via e può anche bastare, in attesa che nascano o rinascano i fenomeni, e con la felice constatazione di un Buffon che in porta “tiene” ancora.
I “prandelliani” – speriamo che nessuno di loro faccia fesserie troppo grosse per non meritare questo appellativo: Balotelli, a proposito, sembra forse pervenuto ad un provvido status di noia nei riguardi delle proprie stesse intemperanze, che hanno implicato anche un intervento giudiziario per frequentazione di camorristi - e di riflesso di voglia “naive” di normalità – si troveranno adesso, nelle loro squadre di club, a fare i conti con i divi stranieri che sognano di imitare il camerunese Eto’o, andato a fare soldi, tantissimi, in un paese strano, di nessuna tradizione pallonara,pieno di petrolio e polizia segreta, dopo avere ovviamente detto quanto ama l’Italia, l’Inter e persino il calcio italiano, o che sembrano voler sempre riservare, come per sciacquarsi la coscienza, il meglio di se stessi alla Nazionale del loro paese (unica eccezione Messi, che infatti è Messi).
Ecco, col campionato che comincia preferiamo pensare ad una tenzone carsica ma importante, interna a molte squadre, fra i giovani, i nuovi, i “prandelliani” del nostro calcio e i divi, anche italiani, insensati da troppa stima, irrorati da troppo oro, e spesso rafforzati da contratti pazzeschi che li pongono nella situazione di ricattare perennemente il loro presidente. specie se del gruppo dei masochisti che amano farsi ricattare:, dicendogli: «Mal che vada resto qui, faccio calcio salutare e tu continui a pagarmi secondo contratto».
Visto che il calcio non ha nessuno strumento o giurì per accertare se uno che gioca male è un malato, un brocco travestito bene o un lavativo. E comunque adesso buon campionato a tutti, ci mancherebbe altro. E attenzioni speciali per la Juventus che si è data per prima lo stadio di proprietà, assumendo una nuova leadership essa pure all’altezza della sua grande storia (egli scudetti celebrati all’inaugurazione sono 29, inclusi quelli tolti da Calciopoli).
Ora la imiteranno altre società, e chissà che non ci sia anche quella che riesca spiegarci come si concilia uno stadio nuovo (in Italia spesso fonte anche di tangenti eccetera), pieno di offerte per tutti i giorni e dedicato a tutta la famiglia chiamata ad una spesa forte ma sentimentalmente bene marchiata, con la politica del più denaro possibile da ottenere con i diritti televisivi, quelli che poi si traducono in offerte continue di partite su partite trasmesse nelle case delle stesse alle famiglie, affinché a tutto esse pensino fuorché ad andare allo stadio a vedere, con i poveri occhi umani, una partita e quella sola.
Gian Paolo Ormezzano