Atletica, dimenticare Berlino

I Mondiali sono partiti stanotte con la maratona femminile e si va avanti fino al 4 settembre: due anni fa gli azzurri sono andati in bianco. Tocca rimediare ma non sarà facile.

26/08/2011
Alex Schwazer a Pechino 2008.
Alex Schwazer a Pechino 2008.

Alexander platz Auf-widersen. Ci eravamo lasciati così, con il cielo sopra Berlino troppo alto per le ambizioni dell'atletica italiana: due quarti posti, onorevolissimi, il bottino asfittico del Mondiale 2009. Si è ripartiti stanotte in Corea e non è che il cielo si sia abbassato al livello dei nostri desideri. 

La regina dello sport da parecchio tempo omaggia cavalieri d'altre latitudini: Usain Bolt su tutti, stella assoluta. Conviene essere realisti, sapere che - per come si parte sulla carta - l'ambizione principale principale dell'Italia è agguantare da outsider podi possibili ma non probabili. 

L'unica accreditata di una misura stagionale da podio al momento è Antonietta Di Martino, una che ha già dato tanto: i suoi 2 metri di quest'anno sembrano poco rispetto ai 2,07 di Anna Chicherova, ma stanno alla pari al momento con Blanka Vlasic. E scusate se è poco. Nessun altra al momento ha fatto meglio di loro tre. Tutto aperto, tutto da giocare. 

Per il resto, i pronostici parlano dappertutto altre lingue e non è una novità. Poi, certo, si spera di sorprendere  e di sorprendersi, ma i miracoli in atletica sono rari e neanche auspicabili. Si salta, si corre, si lancia il tempo e la misura che si hanno nelle gambe e nelle braccia, a volte qualcosa meno, quasi mai di più. Si può sperare sulle disgrazie altrui ma non è sportivo e non porta lontano.

E allora, comunque vada questo Mondiale, anche contando sulla benedizione delle stelle che a Berlino erano nere e sulle risorse degli agonisti che pure sono importanti, bisognerà interrogarsi - prima di Londra - sulle assenze. 

Andrew Howe ha solo bisogno di un in bocca al lupo, il tendine di Achille rotto non consente di fare programmi. Ma, è giusto ammetterlo, nel suo caso i programmi latitavano anche prima nell'eterna indecisione, con le sue due anime di saltatore e velocista in eterno ballottaggo. 

Alex Schwazer a Deagu c'è, la stoffa del campione olimpico di Pechino la conosciamo, ma non sappiamo se siano stati rammendati a fondo i punti usciti logori da quel trionfo. Lo sapremo domenica notte: sulla 20 km di marcia, cui - da campione olimpico sulla 50 km -è migrato da qualche tempo, cambiando molte cose a cominciare dall'allenatore e dalla sede di allenamento. 

Non c'è, invece, Giuseppe Gibilisco che non ha raggiunto il minimo nell'asta. Campione del mondo nel 2003, bronzo olimpico nel 2004, era alla fine del suo percorso, ma negli anni ha lasciato per strada tante occasioni. 
 
In tempi diversi si è guardato a questi tre come al futuro dell'atletica italiana. Lo sono stati anche, ma poco o tanto al di sotto del loro potenziale. Solo Schwazer - il più titolato dei tre -, a 26 anni, ha l'anagrafe dalla sua.

Un po' di riflessioni però chi guida l'atletica, a bocce ferme, le dovrà fare, comunque vada a finire la spedizione di Daegu, perché un talento che si perde, si tratti di sport o di studi, non perde mai da solo.    

Detto questo ci piacerebbe tanto, ma proprio tanto, venire smentiti già da stanotte da Vizzoni  (e a seguire da Rubino, Rigaudo, La Mantia, Donato, 4x100 per dire): spremere tutti tutto fino all'ultima goccia del proprio potenziale, con o senza medaglia, sarebbe sufficiente per dire che un margine c'è.

 

Elisa Chiari
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