Calcio, che Nazionale è mai questa?

La squadra di Prandelli sembra giocare "contro" il campionato, dove ci sono troppi stranieri, oltre la decenza. E dove gli azzurrini della Under 21 non militano quasi mai nei loro club.

13/10/2011
Antonio Cassano riceve indicazioni di gioco da Cesare Prandelli, ct della Nazionale di calcio.
Antonio Cassano riceve indicazioni di gioco da Cesare Prandelli, ct della Nazionale di calcio.

Felicemente qualificatasi per la fase finale del campionato europeo, riuscendo a non perdere la calma e la concentrazione nelle due ultime, pleonastiche ma psicologicamente delicate partite (1 a 1 con la Serbia nella calda Belgrado antitaliana, 3 a 0 a Pescara sull’Irlanda del Nord dei giovanissimi capaci di ogni sberleffo), la nostra Nazionale di calcio adesso ha sette buoni mesi di tempo per rafforzare i tratti della la sua fisionomia, in un’operazione che rappresenta anche una regola per sopravvivere, e andare sicura di sé a giocare in Ucraina e in Polonia, dall’8 giugno al 1° luglio.

Sì, la squadra azzurra messa insieme da Cesare Prandelli deve essere sempre più non la squadra "del" campionato, come comunemente si dice della rappresentativa che “è tutti noi”, ma la squadra "contro" il campionato. Cioè squadra anzi conglomerazione di uomini che ha poco o nulla da spartire con il circo, sempre sopra le righe, talora corrotto, talora violento, talora immondo che, con tutti attori straricchi e molti copioni straconosciuti e troppi teatri malfrequentati, mette in scena la saga del pallone rotolante con tutti i suoi fescennini, la saga più intensa e folle, rutilante e squallida, rituale e bizzarra, vacua e incisiva. Insomma tutto il bene e il male possibile del cosiddetto spettacolo sportivo.

Guai se la Nazionale fosse l’espressione del campionato, e specialmente di questo campionato, livellato in basso sia come gioco sia come classifica sin troppo corta, “battuto” da una masnada eccesiva di stranieri, al di là ormai della decenza (un incontro fra Catania e Inter sembra una partita del campionato argentino) e con non pochi giovani italiani che sono azzurrini della Under 21 e Under 20 ma non giocano quasi mai nelle loro squadre di club. Un campionato minato dalle tragicomiche lotte processuali della Juventus contro l’Inter e viceversa (aiuto, il 29 a Milano si affrontano non tanto le due compagini, quanto le due tifoserie), venato dallo scandalo delle scommesse, soltanto dai troppo puri di cuore ritenuto estraneo alla serie A.

Il giocatore della Juventus e della Nazionale Sebastian Giovinco.
Il giocatore della Juventus e della Nazionale Sebastian Giovinco.


La Nazionale va contro il campionato. Prandelli fa giocare o comunque convoca Balotelli che recita in Inghilterra e Rossi che fa il Grande di Spagna e Criscito che gioca in Russia e Sirigu che para in Francia, dà fiducia (ricambiata) a Cassano che con la testa chissà dove sta, lui che gioca nel Milan da separato in casa rossonera, lui che a neanche trent’anni, ha annunciato il ritiro prossimo venturo. In Nazionale c’è Aquilani che la Juventus non ha confermato, rimandandolo in Inghilterra da dove il Milan lo ha riportato in Italia però facendolo giocare a intermittenza.

E c’è Pirlo che il Milan ha lasciato alla Juventus convinto che fosse finito, c’è Pazzini che nell’Inter non riesce a essere titolare fisso. C’è Buffon che ancora qualche mese fa qualcuno, nella stessa Juventus, pensava ormai fuori per ragioni anagrafiche e fisiche. C’è Chiellini che ogni mese fa sapere alla sua Vecchia Signora che non gli spiacerebbe andare a giocare in Albione, c’è Montolivo che la Fiorentina ha messo nella lista dei partenti, magari già a gennaio. C’è Bonucci del quale la Juve sembra stanca e c’è Giovinco che la stessa Juve ha lasciato andare a Parma. Ci sono due oriundi, Thiago Silva dell’Inter e Osvaldo della Roma, che pochi di noi sapevano italianizzabili così facilmente, diciamo pure al volo.

Prandelli che è gentile (fra lui e i Mourinhos una distanza che spaventa persino i neutrini), discreto, onesto e competente si sta assemblando e coltivando questa Nazionale, sta sfruttando al meglio, capace com'è di smussare ogni acredine e d'incentivare velleità sana e revanchismi assortiti, sta valorizzando al massimo il talento fresco e la volontà “verde”, prima ancora che il gran nome. Non vediamo come questa Nazionale, con il calcio indigeno che “butta” poco e male (accade anche ai vini, ai tartufi, e fra l’altro pure per essi c’è ormai eccessiva concorrenza straniera), possa alimentare speranze di trionfi, ma siamo quasi certi che ci darà il gusto sottile, e da molti perduto, della sana e intanto quasi allegra dignità.

Gian Paolo Ormezzano
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