Mondonico, la forza dei semplici

Il Novara, ultimo in classifica nonostante il colpo con l'Inter, si aggrappa all'ex tecnico del Torino per tentare di rimanere in Serie A. La storia di un allenatore contro corrente.

12/02/2012
 L'allenatore del Novara, Emiliano Mondonico, con l'attaccante Giuseppe Mascara durante l'allenamento presso lo stadio Silvio Piola (foto Ansa).
L'allenatore del Novara, Emiliano Mondonico, con l'attaccante Giuseppe Mascara durante l'allenamento presso lo stadio Silvio Piola (foto Ansa).

In tempi di partite truccate proviamo a cambiare l’atmosfera puzzolente aprendo una finestra particolare su un uomo il cui ritorno ad allenare una squadra di serie A è stato salutato con la forte giusta dose di commozione. Emiliano Mondonico cerca, col Novara adesso suo, di salvare la squadra piemontese ultima in classifica, dopo un 1-2 in casa col Chievo e il bicchiere chissà se mezzo vuoto o mezzo pieno del pari interno contro il Cagliari. Oggi è andato a Milano, a casa di quell’Inter che nell’andata fu sconfitta per 3 a 1, successo novarese tanto storico quanto male accompagnato da quasi tutti gli altri risultati dei piemontesi, e ha fatto il colpaccio.

C’è una vicenda che riguarda Mondonico e che davvero ci nutre con il pane, nero ma salutare, del buon calcio di una volta. La riesumazione dei fatti merita però una premessa molto nostra. Quella per cui se due squadre si affrontano all’ultima giornata e – caso limite, poi ci sono variazioni sul tema - a una basta un punto per vincere lo scudetto, all’altra basta un punto per evitare la retrocessione, quelle due squadre hanno il dovere sportivo di giocare per il pareggio: se si sbranassero per la vittoria, come chiedono i tifosi troppo fessi e i parrucconi troppo saggi, una delle due, quella sconfitta, vedrebbe vanificata tutta una stagione di impegni, di sacrifici. E questa imperizia, questa demenziale interpretazione del concetto di sport, sarebbe cosa molto ma molto più antisportiva che un morbido pareggio.

E ora la storia, tutta vera. Una squadra allenata da Mondonico gioca contro una squadra che è stata di Mondonico, le due squadre sono stanche, hanno gli uomini contati, il pari va bene a entrambe, proprio come alle due compagini teoriche di qualche riga fa. Senza neanche bisogno stilare accordi, senza che scorra una lira, si sa a priori che finirà con un pareggio (classiche partite che i bookmakers non quotano, rifiutando puntate troppo sicure sull’esito finale).


     C’è in campo un importante giocatore che per Mondonico è quasi un figlio, quelli delle due squadre sanno bene che in caso di caos da imprevisti – la palla è rotonda, eccetera eccetera - sarà lui a dirigere il traffico. Accade che lasciando lo spogliatoio per entrare in campo un giocatore di una squadra si affianchi ad un avversario e che pensi bene di regolare lì un vecchio conto, con una sberla. Accade che l’altro risponda a sputi. Accade che al primo contrasto proprio il giocatore garante resti a terra, a un metro dalla panchina di Mondonico, spaccato da un’entrata durissima di un rivale. Accade che Mondonico mandi tutti al diavolo. Accade che racconti poi la cosa col suo sorriso buono ed onesto.

Quella partita, che finì con un pareggio acre e con le due squadre incerottate, è comunque acqua di fonte, è pane nero di cereale povero ma sano, è vino sanguigno ma genuino. Gli ipocriti possono sdegnarsi per l’ipotesi di “torto” fatto al concetto di sport come lotta sempre al massimo, il coltello fra i denti. Noi siamo con Mondonico ed anzi pensiamo di omaggiare così la sua genuinità campagnola semplice ma pura, la sua capacità di cercare la pace come di fare la guerra, magari alzando al cielo una sedia, la sedia di Amsterdam, tre pali del suo Toro nel ritorno contro l’Ajax, niente Coppa Uefa, una sedia a cercar di colpire gli dei malvagi nel loro basso volare.

La storiella di Mondonico sta bene in tutta la storia bella della sua vita: da calciatore la chiamata del Toro per fare l’impossibile, cioè prendere il posto di Gigi Meroni ucciso da un’auto, e la “fuga” in scooter da Torino a Genova, saltando un allenamento, per andare a sentire gli imprescindibili Beatles; da allenatore i miracoli specialmente con Cremonese e Torino, senza mai fare il ruffiano o il buffone presso i potenti e così avere anche lui la chance della grande squadra.


     Da uomo, da paesano di Rivolta d’Adda dove maturano nelle nebbie i suoi favolosi salami, l’epos di due successi sul cancro, sconfitto anche da un grande onesto terapeutico amore per la vita, il lavoro. Una gita costante in pineta, in questi tempi in cui il calcio affonda nelle paludi mefitiche delle truffe, dei sospetti, probabilissimamente dei ricatti. Pensiamo che sotto sotto anche Moratti, il presidente dell’Inter sconfitta dal Novara, faccia un po’di tifo per Mondonico e il suo mondo, e dunque anche, a San Siro, per la sua panchina. E che bello sarebbe se Moratti, consumato da allenatori troppo volgari o troppo aristocratici, offrisse al contadino Mondonico di coltivare prossimamente l’Inter dei divi ricchi e stracchi.

                                                                                                     

Gian Paolo Ormezzano
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Postato da martinporres il 13/02/2012 04:02

Questo articolo mi sembra un agiografia eccessiva del personaggio Mondonico, che merita tutto il rispetto per i guai fisici che ha avuto. L'Inter non è più una squadra.

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