Boonen, l'equilibrista del pavé

Il ciclista belga vince per la quarta volta la Parigi-Roubaix e fa il record. Una classicissima snobbata dai giornale e dalle Tv.

08/04/2012
L'arrivo solitario di Tom Boonen nel velodromo di Roubaix (foto del servizio: Reuters).
L'arrivo solitario di Tom Boonen nel velodromo di Roubaix (foto del servizio: Reuters).

Il giorno di Pasqua il ciclismo da corsa di un giorno ha ritrovato la domenica, dopo essere da tempo stato sbattuto quasi sempre al sabato da ragioni di turismo automobilistico, per la Parigi-Roubaix vinta da “un uomo solo al traguardo”, il pronosticatissimo belga Tom Boonen, che aveva appena conquistato il Giro delle Fiandre battendo il nostro Filippo Pozzato.


Per noi la Classicissima è la Sanremo, per i belgi è il Fiandre, per i francesi è la Roubaix (che ha visto110 edizioni e che molti si ostinano a chiamare corsa franco-belga quando neanche un centimetro di essa viene pedalato su strade fiammighe o vallone). Boonen, 31 anni, alla quarta vittoria eguaglia il suo connazionale Roger De Vlaeminck e divide con lui l’appellativo di “Monsieur Roubaix”, mancato da poco dal nostro Francesco Moser, tre successi (però consecutivi). Boonen ha controllato per i primi 200 chilometri, a 50 abbondanti dal traguardo (il velodromo di Roubaix, a 257chilometri dal via dato a Compiègne) è partito senza che nessuno, a parte per qualche chilometro un utile gregario, potesse agganciargli la ruota. 

C’era ancora da divorare una buona dose di “inferno del Nord”, come è definita la strada che nella seconda metà della corsa presenta, in scomode rate mediamente di 2 chilometri l’una,  27 tratti del pavé, la pavimentazione spaccaossa, in cubi di porfido, voluta da Napoleone III per i carri a cavalli e in molti comuni salvata dall’asfaltatura proprio per omaggiare il mito della Roubaix. Il fiammingo ha pedalato come se il pavé non ci fosse: liscio, sicuro, possente ma anche elegante, e nessun rischio, mentre dietro di lui molti cadevano sbandavano imprecavano all’anacronismo feroce di un percorso che impone torture antiche a fachiri moderni. 

Per noi il terzo posto di Alessandro Ballan nella volata degli sconfitti: non vinciamo una classica dal Giro di Lombardia di Damiano Cunego nel 2008. Il tempo freddino non ha sputato pioggia, le immagini dei sentieri di pavé fra i campi, con due ali continue di folla, sono state suggestive assai. Tom Boonen è stato accostato a Fabian Cancellara, lo svizzero figlio di italiani che vinse nel 2010 alla stessa maniera autoritaria, sospettato persino di celare un motorino elettrico nel telaio, e che stavolta non era al via per una doppia frattura alla clavicola. 

Il ciclismo si concede la continua iterazione di questi riti del sacrificio. Qualcuno assimila la Parigi-Roubaix ad una sorta di nobilissima gara di ciclocross: non quella del giorno di Pasqua 2012, Boonen sul pavé sembrava più a suo agio di tanti sul liscio della via Aurelia in occasione della Milano-Sanremo.


Boonen con il trofeo del vincitore.
Boonen con il trofeo del vincitore.

Ma vogliamo anche tenere un altro discorso. La gara si è svolta in una giornata in cui il campionato italiano di calcio, quello che attende lo tsunami di Scommessopoli, era assente, esauriti tutti i suoi impegni la vigilia di Pasqua, in cui non c’era altro sport di grosso rilievo, Almeno sino alle 21 con, in Qatar, il Motomondiale di Valentino Rossi azzoppato. Niente Formula1, niente rugby del Sei Nazioni, le solite dosi di basket e volley e pallanuoto, nessun appuntamento di grande atletica o grande nuoto primaverile. 

Era una buona occasione per dirottare la tribù dei consumatori di sport sulle riprese, bellissime, della corsa nell’”inferno del Nord”. Ma sui quotidiani che una volta preparavano come suol dirsi l’ambiente, infiammavano l’attesa eccetera ci sono state tutto sommato poche righe di presentazione. E gli stessi quotidiani sportivi hanno fatto meno del solito, quanto a lavori della vigilia. Quasi che il ciclismo abbia ormai scocciato, e con le sue storie di doping continuo e col suo romanticismo troppo conclamato e magari anche con la sua intenzione ostinata di non voler morire di disattenzione popolare, visto che la gente continua ad andare sulle strade. 

Per non dire, nella contingenza della corsa del tremendo pavé, della sua pretesa di concorrenziare lo sport estremo che sta connotando molto dello show moderno. La Rai ha fatto un bel lavoro, ma soltanto il finale della corsa è andato su Rai 3, il grosso delle riprese doveva essere cercato nella meno frequentata Rai Sport 2. Massì, diciamo pure che il ciclismo scoccia, con la sua proposta di fatica semplice, e magari senza neanche il sangue, oltre che col suo doping da poveracci, si capisce, in tanto altro sport bypassato dalla droga chic. Scoccia insomma per chimica misera e romanticismo sgualcito. 

E poi si deve pure pensare che manca l’appeal del guadagno grosso e facile: Boonen è un asso riconosciuto (però mai farà sua una grande corsa a tappe, lui è il classico “belge d’un jour”), ma in un anno guadagna quanto in un secondo un terzino del Bari che fa autorete scientemente in una partita contro il Lecce e gratifica i criminali scommettitori.

Gian Paolo Ormezzano
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