Pistorius, comunque una tragedia

Il campione paralimpico diventato olimpico accusato di omicidio. Che sia un tragico errore o una colpa, è una pessima notizia per i tanti che hanno vissuto aggrappati al suo esempio.

14/02/2013
Oscar  Pistorius con la ragazza rimasta uccisa Reeva Steenkamp (Ansa).
Oscar Pistorius con la ragazza rimasta uccisa Reeva Steenkamp (Ansa).

Sconcerto. Sgomento. Rabbia. Un senso di vuoto nella pancia. È questo che si prova davanti alla notizia che da stamattina rimbalza da un capo all’altro del mondo. Oscar Pistorius ha ucciso la sua fidanzata.  La ragazza, stando alla versione di Oscar, si sarebbe introdotta in casa del campione di notte per fargli una sorpresa. E lui, che aveva il terrore di essere aggredito e una pistola sul comodino, le avrebbe sparato per errore scambiandola per un ladro, nel contesto di un Paese, il Sudafrica, dove tanti girano armati e dove il pericolo è dietro l’angolo.

Gli inquirenti però credono poco al tragico errore, lo accusano di omicidio volontario. Dicono che Oscar viveva blindato e che un ladro non sarebbe entrato facilmente in casa sua, dicono che la Polizia era informata di "precedenti violenze domestiche". Ma vale anche qui, deve valere, la presunzione di innocenza, ed è presto per dire tutto. Oscar affronterà un processo, un giudice deciderà.

Resta però il vuoto alla pancia, il senso di irrimediabile rimpianto e di sconfitta che prende quando un’ombra scura, di colpa o di tragedia, sfregia un’immagine troppo bella. Oscar era, ed è, il simbolo di un riscatto: un disabile che ha insegnato al mondo a non guardarlo più come tale, che ha trascinato, con la sua storia vincente di paralimpico diventato olimpico tra i normodotati, milioni di bambini come lui - amputato a 11 mesi a entrambe le gambe sotto il ginocchio - a credere che tutto è possibile se ci credi, se ti batti per non farti lasciare indietro dalla vita, anche se la malasorte ti ha dato uno svantaggio ai blocchi di partenza.

L’Oscar che conoscevamo noi ha un sorriso timido e i modi di una persona mite, ha lottato per il suo diritto di correre, lui senza gambe contro quelli che ne hanno due, portandosi sulle spalle un sacco di mondo che di solito resta nell’ombra. Oscar ha fatto uscire quel mondo dall’ombra, ci ha costretti a raccontarlo in un altro modo, in chiave sportiva come gli altri, non più sociale come prima. Perché Oscar, lasciandosi attraversare dalle perizie di chi controllava le sue protesi per capire se potessero avvantaggiare la sua corsa, si è fatto trattare come tutti, senza pietismi, senza corsie preferenziali. Ha ottenuto di farsi guardare negli occhi come avversario dai suoi avversari, cioè di essere riconosciuto alla pari.

Per tutti quelli che hanno creduto in lui fa male la paura che Oscar possa aver bruciato, in una notte tragica e sinistra, tutto il vantaggio che aveva recuperato sulla vita, sul mondo, sui nostri pregiudizi. La cosa più difficile, se davvero è andata come sembra, sarà dover ammettere che ci siamo sbagliati un’altra volta: che gli uomini, anche quando si chiamano Armstrong, anche quando si chiamano Pistorius (fatte le debite proporzioni tra le responsabilità contestate), sono sempre poveri uomini, che non possiamo fidarci di loro nemmeno quando sembrano eroi giovani e belli.

E questa è una sconfitta per loro, per noi, per la vita, per la speranza, per tutti quelli che aggrappati all’esempio di Oscar stavano cercando di risalire la china di un’esistenza che andava in salita. E adesso rischiano di restare senza un appiglio, che forse era lontano, forse era virtuale, ma era comunque un appiglio, che ora all’improvviso manca. E quando la sfida è ardua, quando la speranza è un filo, a spezzarla basta niente, basta il margine di un dubbio.  Figurarsi la certezza che, comunque sia andata, un’altra tragedia si è messa di traverso.

Elisa Chiari
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