Tallarita, lo sport che è ancora sport

Il super maratoneta emiliano Antonio Tallarita ha vinto la prima edizione della Torino-Roma di corsa: 147 ore, 118 km il giorno. E non ha guadagnato assolutamente nulla.

08/06/2011

Antonio Tallarita, podista di 51 anni, emiliano di Reggio, la città del Tricolore, ha vinto la prima edizione della Torino-Roma di corsa a piedi, inventata per legare la prima e l’ultima capitale d’Italia, nel quadro di Esperienza Italia 150. Una fatica di 712 km programmata con un tempo limite di 7 giorni e 10 ore, passando per quattro regioni. Partito il 2 giugno alle 11, Tallarita è arrivato in piazza del Popolo dopo appena 6 giorni, 3 ore e 15 minuti, alle 14,15 dell’8 giugno. Ha pestato l’asfalto per un totale di 147 ore, coprendo sui 118 km al giorno. Ha corso quasi sempre di notte, ha dormito nei camper e nei posti (13) di controllo. Ha dato un giorno di distacco a Roy Pirrung, leggendario pedone americano.

Non ha guadagnato assolutamente nulla, e questo è garanzia pressoché assoluta di assenza di trucco. E’ arrivato in piazza del Popolo fra la quasi generale indifferenza dei media. Nell’ultimo tratto gli hanno corso al fianco tanti podisti della sua tribù. Nessun tripudio di folla capitolina, soltanto le strette di mano di alcuni superfachiri come lui, e i complimenti di Enzo Caporaso, ideatore della manifestazione (che avrà un seguito) e presidente del club organizzatore che si chiama Giro d’Italia Run, lui podista da Guinnes dei primati, 51 maratone in 51 giorni consecutivi, lui pure concorrente della Torino-Roma lasciata non per banale stanchezza, dopo un cinque giorni, ma per essere sul traguardo a celebrare il vincitore.

Quando Tallarita ha finito, in gara erano ancora sette (una donna), dei diciassette (due donne) partiti da Torino. Fra lo sport di Tallarita e quello dei calciatori che per denaro, e tanto, si vendono e si comprano le partite, c’è un mondo di spazio, o si tratta proprio di due mondi diversi? E se si tratta di due mondi diversi, c’è o almeno ci dovrebbe essere, anche solo ospitato dentro di noi, conflitto fra di essi? Quei fachiri e questi delinquenti sono chiaramente entità diverse, che però con la loro attività convivono lessicalmente sotto la dizione di sport, e che convivono e confliggono anche nella nostra attenzione, quasi tutta offerta ai cattivi, ancorché si capisce sdegnata, e quasi inesistente per i buoni: ma non sarebbe ora di sottrarre la parola sport a certa gente, a certi giochi, a certi interessi, a certe truffe, oppure di lasciarla soltanto a loro, perché ormai così sporcata che è bestemmia usarla per gli altri, per i puliti?

Facile dire in giro e dire a noi stessi che sappiamo distinguere, valutare, capire. In realtà se siamo preoccupati è per la regolarità dei campionati di calcio, per la fruizione del giocattolo, non per il peccato di corruzione in sé. Se siamo sdegnati è perché ci sentiamo traditi: ma siamo disposti a perdonare, lo abbiamo già fatto altre volte, ci sono in certi stadi striscioni che invocano il ritorno di Moggi, importante è che non vengano sfregiati anche i nostri massimi idoli. La nostra squadra è comunque una vittima, se i suoi hanno cospirato lo hanno fatto meno di altri, e quasi per legittima difesa. Nobili città rischiano di essere messe a ferro e fuoco dai loro probi cittadini, se la loro squadra di calcio viene colpita dagli strali di una giustizia che ipocritamente pretendiamo perfetta sol perché pensiamo che perfetta non può essere, e dunque sempre offrirà corde alla nostra risalita, appigli ai nostri alibi, setacci ai nostri “distinguo”.

Siano onesti: non vediamo l’ora che questo baillamme di scommesse in tutto il mondo, anche su piccole nostre partite di calcio, finisca, con la dose minima di vittime, finisca cioè riprenda ma senza che lo si voglia sapere, e si possa ricominciare a giocare da seduti, al massimo balzando ogni tanto in piedi, al gioco dello sport falso e bello, dove faticano (insomma) gli altri, che ci lasciano pure godere e soffrire, spesso la stessa cosa, delle loro (insomma) fatiche. E a proposito di Tallarita, magari inconsciamente ci piace pensarlo come uno che soffre o meglio che espia per i peccati altrui: sono o no, siamo o no tutti cittadini, lui e loro e noi, del grande mondo dello sport?

Gian Paolo Ormezzano
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