31/03/2011
Thomas R. DiBenedetto, anni 61, statunitense di Boston, interessato ad acquistare la squadra di calcio della Roma.
Sembra di assistere a “Un marziano a Roma”, commedia (1960) del sempre più buonanima Ennio Flaiano, con l’alieno che sbarca nell’Urbe da un’astronave, è accolto da reverenti stupori, si romanizza al volo, si gode il caldo della dolce vita, si spampana nell’ozio capitolino, in breve diventa uno come gli altri, galleggia nell’indifferenza quando non si becca pure del cornuto. Diciamo della vicenda di Thomas R. DiBenedetto, anni 61, statunitense oriundo campano (o molisano, secondo altre correnti di pensiero), maglioncino alla Marchionne, però arancione.
Negli Usa è imprenditore di sport professionistico, sua la squadra bostoniana Red Sox di baseball. Pancia quasi gloriosa, moglie, cinque figli di cui uno gioca a baseball a Reggio Emilia nella serie A nostrana. Partecipazione sua nell’azionariato dei mitici Boston Celtics del grand basket Nba, tre soci ricchi di cui due oriundi come lui, deciso a far sua la Roma intesa come club calcistico giallorosso, nel mirino il 60% delle azioni, il resto all’Unicredit che prestò soldi alla famiglia Sensi, ormai quasi del tutto uscita di scena. Nome d’arte subito impostogli dai romani “zio Tom”. Sbarco a Fiumicino da un volo di linea dalla sua Boston, classe economica (prima classe strapiena e l’aereo privato in riparazione ad Atlanta).
Sarebbe il primo serio arrivo del capitale Usa nel nostro sport, dopo vaghi e non convincenti assaggi/sondaggi condotti a Vicenza, a Torino (sponda granata), a Roma (Lazio) ed a Napoli, con fra gli altri interessato Chinaglia, ex calciatore laziale ora in crisi con la giustizia. In due giorni a Roma DiBenedetto, attenzione non Di Benedetto due parole, subito cultore delle trofie al pesto, ha scatenato la fantasia dei tifosi giallorossi: Buffon dalla Juve, Cavani dal Napoli, Pastore dal Palermo… E uno staff tecnico di prim’ordine, si capisce. E non è sport, ma forse è tattica, contropiede, attacco. Parliamo della
Borsa. Il titolo della Roma, quotato a Piazza Affari, va su e giù, anche
di sei punti al giorno, a seconda delle notizie e delle conseguenti
sensazioni relativamente all'avvento degli americani. Ci sono dubbi,
sospetti, misteri, relativamente alla possibilità di vaste
speculazioni: aggiotaggio non è per ora anche il nome di uno schema
calcistico, ma non si sa mai.
Le cifre dell'impegno di di Thomas R. DiBenedetto non sono tutte bene precisate, si parte comunque da oltre 100 milioni per le azioni, si prospettano altri fortissimi esborsi ed anche un po’ di azionariato popolare per il mercato, si coinvolgono direttamente i tre soci di zio Tom, con però la remora del possesso, da parte di uno di loro, di azioni del Liverpool, eminente club calcistico inglese: e questo vorrebbe dire che alla Champions League, imprescindibile se si parla di calcio “alto” e proficuo, la Roma, qualora abbastanza miracolosamente si qualificasse, potrebbe essere sacrificata al Liverpool, club dal palmarès più illustre, nel nome del conflitto di interessi bersaglio di Platini presidente dell’Uefa.
Due giorni di sogni, lui che mostra il pollice alzato e promette di concludere tutto in tre settimane, di tornare da presidente, e però parte per gli Usa senza neanche fermarsi a vedere Roma-Juventus, match di vitale importanza proprio per la Champions League. E allora i romanisti dopo la sbronza avvertono un certo mal di testa.
Naturalmente lo zio Tom ha prospettato subito lo la costruzione di uno stadio nuovo, di proprietà del club, un insieme di installazioni, aperte sette giorni su sette, dove convocare le famiglie per shopping nel grande magazzino, anche con acquisto di magliette da gioco, carissime perché non taroccate, pranzo al ristorante, il cinema per mammà e piccini, la partita per papà e figli grandi. Con quali soldi, vista la situazione economica della famiglia italiana, non si sa.
Applausi, ovvio. La mossa del nuovo stadio, con impianti perfetti ed attraenti e sicuri, è un classico, e l’annuncio non costa nulla. Da una parte ogni club dice di volerlo per riportare le famiglie al calcio sottratto ai violenti, da un'altra ogni club cerca di avere il massimo dei diritti televisivi, cioè dei soldi sborsati da emittenti che, offrendo football di lusso ormai a tutte le ore di tutti i giorni, operano perché la famiglia non si muova di casa.
Insomma, lo stadio per avere terreni in offerta speciale, urbanizzazioni a spese di tutti, mutui agevolati, e magari operare di tangenti, i diritti televisivi per aver il denaro cash. Niente a che vedere con gli arrivi, i soldi in bocca, e tanti, nel calcio inglese dove i funzionalissimi stadi di proprietà del club sono una costante da un secolo, di statunitensi come DiBenedetto (Manchester United), arabi (Manchester City), soprattutto russi (Chelsea).
Chissà se il “se son rose fioriranno” vale come proverbio anche in inglese. Per i romanisti comunque ancora tre settimane di attesa, speranze e sospetti e paure e sogni. Magari DiBenedetto non è romarzianizzato (neologismo che forse piacerebbe a Flaiano), ma se le rose si riveleranno di carta o di plastica non dite poi che non vi avevamo avvertiti.
Gian Paolo Ormezzano