06/07/2012
Peter Sagan e Vincenzo Nibali (foto del servizio: Reuters).
Sta a venendo e persino rifinendosi al Tour de France una cosa bella e strana, che
non si pensava possibile nello sport in genere e meno che mai nel ciclismo,
dove la tradizione, nobile e greve insieme, sembrava avere dettato regole fisse
e pesanti e frenanti nei riguardi delle novità, della stessa evoluzione che
pure è insita nel darsi daffare dell’uomo.
Il ciclismo in altre parole è (era) ritenuto sport di valori fermi,
“lunghi”, forti e sani, costruibili soltanto se ci sono solide basi. Il
ciclismo legato alle specializzazioni (sprinter, passista, scalatore), vincolato
a scelte in linea di massima irrevocabili: quello lì nasce per la pista, quello
là è soltanto fatto per la strada. Un secolo e passa di Tour de France e Giro d’Italiana
hanno (avevano) solidificato la tipologia più forte, meglio
definita e accentuata. Lo scalatore non può essere troppo alto, deve pesare
poco: leggendario lo spagnolo Vicente Trueba, detto ”la pulce dei Pirenei”. Il
muscolato pistard che si dà alla strada al massimo può puntare su qualche volata
in corse brevi, per il resto non ha il fiato. Lo sprinter stradaiolo quando la strada si
impenna rotola in fondo al plotone. E lo scalatore non va proprio bene a
cronometro, gli manca la pedalata e rotonda del passista.
Categorie bene
definite, muri bene alzati. Le eccezioni fatte apposta per confermare la
regola: il belga Eddy M erckx vince
anche in salita pur essendo alto e pesante? Ma lui ha sin troppa classe, se
dello scalatore avesse pure l’impianto fisico chissà quali sfracelli
combinerebbe. E Fausto Coppi mica era piccolo, d’accordo, ma era
secco, magro, aveva il torace “a punta” come gli uccelli però aerodinamico e
intanto capace di contenere tanta aria, di esaltare la capacità vitale decisiva
sulle montagne. Piccoli adattamenti dell’individuo alla categoria, ma sempre il
rispetto delle tipologie e delle specializzazioni.
Il plotone del Tour durante una tappa.
E se Greg LeMond diventava il primo statunitense vincitore del Tour de France e però era uno che veniva dallo sci acrobatico, beh’, si argomentava che questa disciplina gli aveva affinato i riflessi, gli aveva incrementato l’audacia. Però nel suo periodo vinceva più di lui il francese Bernard Hinault, ciclista tipico, piccolo e tozzo. Cambiavano caratteristiche e tipologie e anche parametri, insomma, ma poco alla volta, magari per caso spicciolo, e non cambiava il ciclismo, non cambiava il ciclista. Il ciclismo fra l’altro affidato specialmente a pedalatori italiani, francesi, belgi, spagnoli, secondo una geografia ed un’anagrafe classica.
Ma adesso al Tour de France troviamo insieme così tante novità, annunciate ma timidamente dal Giro d’Italia, che anche soltanto elencandole alla rinfusa non si può non pensare ad un cambiamento profondo, sostanziale, assoluto. Di facciata e di interni, di sound (si parla inglese, ormai) e di sostanza.
Tentiamo una lista.
1) Il favorito alla partenza del Tour era Bradley Wiggins, britannico, 32 anni, uno che ha vinto tutto in pista e poi si è autenticamente messo in strada, cambiandosi la muscolatura con opportuni esercizi. Evoluzione impensabile sino a ieri.
2) Il secondo favorito era Cadel Evans, anni 35, australiano vincitore lo scorso anno, uno che viene dalla mountain bike sino a ieri l'altro ritenuta pratica nemica del ciclismo diciamo classico
3) Pistard in fondo è ancora Mark Cavendish, 27 anni, il britannico che vince le volate comportandosi come se la strada fosse un velodromo. Viene dalla pista pure lui, e ha persino un passato breve da ballerino di danza classica.
4) L’italiano VIncenzo Nibali, un favorito, ha 28 anni ed è siciliano: si dice da sempre che il Sud d’Italia non può produrre grandi ateti da prove a tappe, troppo estro e troppo altalenare di rendimento (lo si diceva anche del piatto ricco Belgio, prima di Merckx).
5) Sopra tutto e sopra a tutti sembra imporsi la figura di Peter Sagan, slovacco, dunque senza un briciolo di un qualche retroterra ciclistico tradizionale, appena 22 anni, esordiente alla corsa gialla, maglia verde della classifica a punti (stilata sui piazzamenti) al secondo giorno di gara, capace, oltre a farsi il segno della croce a ringraziare Iddio per una vittoria, di gesti di gaudio persino studiati (una posa alla Mussolini, una alla Forrest Gump). Da quattro anni in Italia, dilettante a Castelfranco Veneto poi professionista con la nostra squadra Liquigas, un ottimo eloquio in italiano e molti esperti che già gli hanno consegnato le chiavi del futuro.
Sagan, capace di fare le volate, attaccare sugli strappi, tenere bene la posizione in gruppo, resistere agli specialisti in salita, è già stato definito un fenomeno. Non ha nessuna caratteristi spinta che ricordi troppo specificamente questo o quel campione, questa o quella impalcatura fisica speciale. Sembra un po’ un giovane Merckx, ma ci sono tanti giovani Merckx in Belgio, stando all’aspetto fisico. E’ pure disponibile con i media, come i vecchi bonari ciclisti. Viene dallo sci di fondo, dall’hockey su ghiaccio, dallo snowboard, le discipline “fredde” dei giovani del suo piccolo paese.
E’ molto probabile che, con biciclette sempre più perfette e pratiche grazie alla rigidità del titanio e del carbonio, con una preparazione fisica bene studiata e non limitata da vecchi canoni, presto si vedano in bicicletta i meglio atleti, i supermen, semplicemente impegnati a trasferire la loro potenza sui pedali e da questi sulla bicicletta, senza problemi di agganci tipologici. Se la strada sale, rapporto più corto, più pedalate, e avanti così, anzi su su così.
Se poi questo ciclismo, tolto ai meravigliosi scorfani che saliti sulla bicicletta diventavano belli (Fausto Coppi su tutti) possa competere in vetrina con gli sport estremi dei nostri folli giorni, se insomma per esso sia un affare mettere da parte il vecchio per il nuovo, il nuovissimo, si tratta di un altro discorso. Ma chi pretendesse di poterlo tenere adesso sarebbe un presuntuoso.
Gian Paolo Ormezzano