Tour, un australiano a Parigi

Alla fine, proprio all'ultima cronometro, ha vinto Cadel Evans, 34 anni, ex grande del ciclocross, moglie italiana. Campione di costanza, regolarità e tenacia. Un premio alla carriera.

24/07/2011
L'australiano Cadel Evans, vincitore del Tour de France 2011, in una delle tappe della "Grande Boucle".
L'australiano Cadel Evans, vincitore del Tour de France 2011, in una delle tappe della "Grande Boucle".

Banale, convenzionale, per metà e passa vivificato soltanto drammaticamente dalle troppe cadute, non mai torturato dal clima, deludentissimo anche sui Pirenei, il Tour de France di (alla fine) Cadel Evans ha ritrovato sé stesso, il proprio mito, ed è diventato grande spettacolo agonistico, tecnico, umano sulle Alpi, grazie al lussemburghese Andy Schleck e allo spagnolo Alberto Contador, i due strafavoriti della vigilia, secondo e primo lo scorso anno, allora divisi a pro di Contador soltanto da un incidente meccanico che volle dire i 39” di differenza alla fine nella classifica finale.

Il penultimo giorno l’unica frazione a cronometro individuale, 42 km intorno a Grenoble, ha tolto la maglia gialla a Schleck e l’ha data, secondo pronostico, al primo australiano vittorioso nella storia della “grande boucle”. Applausi forti per Evans, 34 anni, ex grande del ciclocross, tanta carriera anche in Italia, moglie italiana, campione del mondo nel 2009, secondo al Tour 2008 dietro allo spagnolo Sastre, fermato in maglia gialla da una frattura al gomito nel 2010: un campione di costanza, regolarità, tenacia, parlando in vecchio ciclistese.

Forse la gente avrebbe preferito a Evans quello Schleck secondo a Parigi ormai per tre anni consecutivi (Contador uno e due, poi Evans), 26 anni e ancora tanto futuro, ma forse anche il senso di una mezza maledizione, visto che gli manca sempre la vittoria della vita. Stavolta sul podio ha con sé il bravo fratello Frank, 31 anni, per la gloria statistica della famiglia (il padre, Johnny, correva ai tempi di Merckx, era bravino). Non può bastare: un grande campione deve saper pedalare forte anche a cronometro, dove è solo con e contro sé stesso, e Andy ha deluso.

Evans ha vinto giusto, limitando con un inseguimento commovente il grande Andy Schleck dell’arrivo al Galibier, svuotandosi a ogni tappa (un successo, sul quarto traguardo della corsa), capitalizzando al massimo la propria riconosciuta superiorità a cronometro. In classifica i due fratelli dietro di lui (Andy a 1’34”, Frank a 2’30”). Poi Voeckler francese quarto a 3’20”, poi Contador, che ha dato spettacolo un giorno solo, salendo l’Alpe d’Huez: lo spagnolo primo al Tour del 2009 e 2010, primissimo al Giro del 2011, ha patito due brutte cadute, la pressione del pronostico, la pressione soprattutto della folla francese a lui ostile perché sospettato di doping (fra qualche giorno saprà ufficialmente se è sua o no l’edizione del Tour 2010), sino a mandargli addosso su una salita uno spettatore vestito da medico , “armato” di siringa e sbattuto via da un pugno del ciclista furioso.

Premio alla carriera per Evans, ma anche premio alla sapienza tattica, alla capacità dello sforzo massimo al momento topico. I giorni alpini del Tour, compreso quello con traguardo a Pinerolo, gli hanno dato il contorno di una corsa che ha ritrovato e rinnovato tutte le sue grandezze (epica, etica, mistica, mitica, poetica, atletica, drammatica…), presentandosi con le carte in regola rispetto alla sua storia per la conclusione a Parigi, con gli italiani non solo senza vittorie di giornata, ma costretti a fare finta che il settimo posto di Cunego (a 6’05”) sia un successo e che l’ottavo posto di Basso (a 7’23”) non sia una delusione. Nonché costretti a puntare su Nibali e Scarponi per il 2012, se ci sarà il Tour nel loro programma e se la partecipazione al Giro non basterà a riempire e condizionare una stagione tutta. Meglio i francesi, che hanno vinto una tappona con Rolland migliore dei giovani e hanno avuto dieci giorni di maglia gialla con Voeckler.

Dei perché del Tour comunque sempre evento enorme, anche se certe tappe sono piene soprattutto di sbadigli o di sussulti per incidenti (da iconografia tragica la sequenza dell’auto che sbatte fuori strada due corridori), abbiamo cercato di dire nei giorni scorsi, sapendolo evento capace di essere grande comunque, per la sua forza addirittura culturale. Sull’immortalità del ciclismo e della bicicletta abbiamo raccolto al Tour certezze anche commoventi. Milioni di persone, sulle strade di Francia e anche d’Italia, hanno dato ragione a chi “ci crede”, l’antidoping ha scovato per ora una sola vittima (un russo) e si spera che non abbia più niente da dire. Con Cadel Evans alla fine hanno pianto e riso, davanti al video e in tutto il mondo, i romantici amici della bicicletta: che sono poi miliardi.

Gian Paolo Ormezzano
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