11/07/2011
L'inglese Cavendish in trionfo in una tappa del Tour de France 2011.
Niente da fare, qualcosa da dire: di fronte al Tour de France noi italiani, e non solo i ciclofili, siamo in soggezione. Ogni pomeriggio i nostri telecommentatori riferiscono meraviglie di una giornata, di una corsa tutta in cui in nove giorni non è si è verificato nulla di importante, a parte una caduta banale che ha fatto perdere al favorito spagnolo Contador un minuto e mezzo ed ha segnato la classifica generale in chiave di casualità. Però al Tour, partito il 2 luglio, ogni scatto è una rivoluzione, ogni pedalata è una grande manovra. Per i primi sette giorni al Tour è accaduto questo: fuga iniziale, il gruppetto di testa perde qualche pezzo, i superstiti sono acciuffati nel finale dal gruppone. Una gran barba. Così dal 2 all’8 luglio compreso. Il ventitreenne italiano Adriano Malori, tre anni fa campione del mondo dei giovani a cronometro, il 7 luglio è scattato al via, ha fatto quasi 240 chilometri di fuga, prima con altri poi da solo, è stato preso a 4 km dalla conclusione, è diventato – sacrosantamente – un mezzo eroe. Al Giro sarebbe stato un ingenuo, un inesperto incapace di dosare le forze. Il 9 luglio il portoghese Rui Costa, scattato all’inizio con altri, ce l’ha fatta a resistere, sino all’arrivo, lui solo, senza essere ripreso. Prima volta, in questo Tour, di una fuga premiata. Ha vinto ed è diventato un eroe intero. Fosse stato francese, sarebbe assurto addirittura al mito.
La caduta del corridore russo Vinokourov.
Il 10 luglio, tappa di medie montagne del Massiccio Centrale, prima del primo riposo, ancora tante brutte cadute (Contador di nuovo a terra, contusione al coccige), di cui una grossa, di massa, fuori dal Tour qualche pedalatore importante, quattro fratturati in voli drammatici, fine probabile della carriera di Vinokourov, grande vecchio fortissimo, 38 anni, col femore rotto, i corridori illesi che si fermano per soccorrere prima, aspettare poi i contusi: al Giro sarebbe stato uno sciopero immediato contro gli organizzatori e le loro strade impervie, una fine lì della tappa. La quale tappa invece al Tour è andata avanti, nel finale un’auto del seguito ha colpito e spettacolarmente buttato in aria due corridori, “c’est le Tour”, vuoi mettere quanta epica tragica…
Il norvegese Thor Hushvod vince la terza tappa del Tour.
Maglia gialla a lungo sulle spalle del norvegese Thor Hushovd, campione del mondo, 33 anni, 80 chili, uno non accreditato di tenuta per grandi corse a tappe, ma al Tour tutti intenti a battezzarlo campione assoluto, mentre al Giro gli avrebbero fatto le pulci in attesa di una crisi. In Francia lo hanno fatto grandissimo, rendendolo così ideale per la staffetta gialla, avvenuta addì 10 luglio, quando il francese Thomas Voeckler, 32 anni, gli è succeduto nel primato in classifica (seconda fuga andata felicemente a termine): uno che aveva già preso la maglia sette anni prima, l’ideale per vellicare la “grandeur”, in mancanza di meglio, visto sin qui non c’è stato nessun successo francese di tappa…
Evans e Hushovd prima della partenza della nona tappa.
Niente da fare, qualcosa da dire. Il Tour gode di una superiore valenza culturale, ma sì. E’ abbracciato con amore e conoscenza da tutta la Francia, che non ha avuto un suo grande calcio strangolatore del resto dello sport. L’Italia abbraccia il Giro solo in certe giornate sui monti. Per il resto, lo sopporta. Le stesse riprese televisive dicono di un amore per il Tour che porta alla ricerca di scorci splendidi dell’”exagone”. Al Giro si prediligono e si propongono sin troppo i cartelloni buffi, i personaggini da strada.
Soggezione piena. Abbiamo sentito dire, alla nostra televisione, che al Giro per giorni e giorni non accade nulla, “e invece qui al Tour siamo al terzo giorno e già si avverte il senso della grande corsa ricca di cose”. Quest’anno, al terzo giorno, il Giro dove non accade mai nulla piangeva già un morto, quel povero ciclista belga.
Rojas, Gilbert e Hushovd alla partenza di una patta della Grand Boucle 2011.
Ci vorrebbe uno studio ampio, con risvolti sociologici, letterari, politici, etnici, per capire e valutare le differenze. Con dentro tanta storia dello sport, si capisce, e del suo parlare alle genti con le gesta dei campioni. Con dentro anche nazionalismo ed ecumenismo, senso dello stato e dissenso dallo stato. Comunque “vince” sempre il Tour. Contador ha preso il via pur sapendo di essere atteso da cento agguati, in corsa e fuori, lui che, sospettato di doping, ancora non si è visto consegnare ufficialmente il Tour 2010 che pure ha vinto. Se Contador fa suo il Tour 2011, la sua vittoria di poche settimane prima al Giro diventa piccola cosa. Se non lo vince, la sua fresca vittoria al Giro diventa ancora meno, diventa un sospetto, un accidente, una “povertà” degli oppositori. E sembra quasi che i nostri pedalatori al Tour avvertano questa inferiorità del palcoscenico rosa rispetto a quello giallo, e la traducano in esitazioni, paure, tattiche attendistiche. Il Tour riposa, ormai alla vigilia delle tappe pirenaiche, e in tutto come ciclismo italiano, quello, per stare appunto al Tour, dei Coppi e dei Bartali, dei Gimondi e dei Pantani, abbiamo fornito allo show uno scattino di Cunego (cento metri), la faticaccia di Malori e stop. Ivan Basso risulta, per ora, non pervenuto.
La nuotatrice italiana Federica Pellegrini ha annunciato di volersi fermare per un anno dopo le Olimpiadi di Londra 2012.
Peccato. Quest’anno poi il nostro sport avrebbe tanto bisogno di un bel Tour italiano, considerato anche il 20 l’arrivo a Pinerolo, presso Torino, nel pieno del programmone alpino. perché siamo in piena carestia di speranze, non diciamo neanche di entusiasmi. E si prospetta una estate tutta secca. Niente da sperare dall’atletica mondiale, al massimo sarà un podio. Il nuoto è Federica Pellegrini, ma cosa è adesso Federica Pellegrini? La Formula 1 va meglio, dopo Silverstone, ma di titolo mondiale per la Ferrari di Alonso si parlerà casomai nel 2012, Valentino Rossi è desaparecido, persino i pallavolisti, che d’estate erano un approdo fisso di soddisfazioni, deludono. E il calcio si appende a diatribe su scudetti vecchi, si appende e si impicca, intanto che fervono le truffe, gli imbrogli, e scoppiano le risse sui diritti televisivi, composte con patti e baratti che magari – a essere pessimisti si azzecca sempre - si tradurranno in accordi sul campo.
Gian Paolo Ormezzano