Ciclismo, ma che cos'è questo Tour?

Un po' corsa noiosa senza campioni veri. Un po' gara dove l'antidoping funziona e obbliga a essere atleti veri. Da mercoledì le grandi montagne. Sognando Ivan Basso che vince.

18/07/2011
Ivan Basso e Samuel Sanchez al via della 13/a tappa del Tour de France 2011.
Ivan Basso e Samuel Sanchez al via della 13/a tappa del Tour de France 2011.

Al Tour un giorno di riposo poi sei giorni di grandi montagne e di crudele cronometro per arrivare a Parigi (con un lunghissimo trasferimento extracorsa la sera di sabato, da Grenoble alla periferia parigina) e far sapere non solo, non tanto chi vince il Tour de France, ma cosa è questo Tour de France. Ci sono infatti tre tesi:

1) una corsa sinora noiosissima, povera di campioni veri, dove dal 2 luglio del via non è accaduto nulla di importante, a parte due cadute di Contador, lo spagnolo favoritissimo dopo il suo gran Giro, dagli incidenti costretto a inseguire in classifica;

2) una corsa bellissima, con allineati otto possibili vincitori in 4 minuti, con un francese “enfin” in maglia gialla (si chiama Voeckler e ripaga i suoi connazionali dal fatto che nessuno dei loro cocchi belli ha sinora vinto una tappa, come d’altronde accade anche in Casa Italia);

3) una corsa dove finalmente l’antidoping, che funziona, spaventa e umanizza gli atleti e impedisce loro di esibirsi in fatiche entusiasmanti, di correre a velocità medie surreali, insomma li obbliga a fare gli atleti a basta.

Noi siamo per la prima tesi, con qualche spazietto anche per la terza: nel senso che non c’è antidoping più avanzato del doping, ma che intanto sembrano agire bene una certa paura, una indubbia assiduità nei controlli e forse anche un certo senso di lealtà o di conservazione (tipo: non voglio rovinarmi la salute…). L’altissima audience televisiva in Francia (sugli 8 milioni, e di pomeriggio) e in tanto mondo gioca a favore della seconda tesi, mentre a favore della terza giocano piuttosto le sensazioni (un solo escluso sinora per doping, il russo Kolobnev).

La classifica dice primo Voeckler, poi Frank Schleck lussemburghese a 1’49”, Evans australiano a 2’06”, Andy Schleck il fratellino a 2’15”, Basso a 3’16”, Sanchez spagnolo a 3’44”, Contador a 4’, Cunego a 4’01”. Le premesse di battaglia bella ci sono tutte. Tre giorni di Pirenei non hanno detto nulla di grosso, casomai offrendo gloriuzza di giornata a carneadi assortiti. Cento metri in testa di Cunego su una salita e soprattutto un paio di chilometri in testa di Basso hanno creato “chez nous” entusiasmi esagerati.

Cunego comunque sembra poter mordere meno di Basso, che appare molto sicuro di sé. Il menù di montagna del martedì è cosa da poco, meglio – nel senso di peggio per chi deve pedalare - quello italo-francese di mercoledì 20 luglio da Gap a Pinerolo, via Monginevro e Sestriere, tappa offerta da un mecenate vero, Elvio Chiatellino, alla sua moglie ciclofila, cittadina ed alla memoria di Coppi che nel 1949, Giro d’Italia, a Pinerolo concluse quella che ancora è reputata la massima impresa ciclistica di ogni tempo: cinque colli in fuga, Bartali a quasi 12’.

Però le due montagne sono adesso pedalabilissime, si conta di più su un’erta breve a 8 km dall’arrivo, si pensa persino ad una saga di grandi discesisti. Il giorno dopo omaggio al monte Galibier per i suoi cent’anni di Tour, arrivo sul grande monte a Serre Chevalier, quota 2465, mai il Tour con un traguardo di tpapa così in alto. Il venerdì di nuovo il Galibier, altro versante, e conclusione all’Alpe d’Huez, sempre traguardo mitico. Poi il sabato 42 chilometri e mezzo a cronometro, gli unici primi individuali, a Grenoble, treno per Parigi, tappetta domenica di festa gialla sui Campi Elisi.

Dicono gli esperti che la decisione si avrà giovedì, noi pensiamo al giorno prima o al giorno dopo, perché le grandi attese funzionano poi da freno, gli annunci di grandi fatiche si traducono in attendismi, cautele, risparmi, tattiche frenanti. Pensiamo a Basso sul podio di Parigi, come già nel 2004(terzo) e nel 2005 (secondo), crediamo ancora in Contador, che l’anno scorso vinse su Andy Schleck, handicappato da un incidente meccanico, per appena 39”. Soprattutto speriamo di essere smentiti nel nostro attribuire a questo Tour un certo grado di noiosità (troppe volte una fuga iniziale senza speranze, il gruppo che si mangia gli audaci nel finale, poi vince Cavendish l’inglese elettrico delle volate, successo n.4 quest’anno, n.19 in carriera).

Attenzione: siamo ammiratori “totali” del Tour anche come fatto culturale, sociale, come celebrazione massima della santa bicicletta, come ispirazione poetica permanente che da esso emana, e pazienza se talora i francesi lo impastano con eccessivo nazionalismo. Non ci è sinora piaciuto troppo questo Tour 2011, ecco: fra l’altro, troppe cadute e dunque molta aleatorietà. Per i francesi il Tour è sacro, e la cosa è pure bella. Noi condividiamo, ma talora lo facciamo sbadigliando un poco: si ama, ma si vuole che il destinatario dell’amore sia perfetto.

Naturalmente se Ivan Basso alla fine vince diventiamo matti e diciamo che tutto, dal primo colpo di pedale all’ultimo, appartiene ad un grande disegno, ed è stato fatto e vissuto da lui ed anche da noi in funzione del trionfo finale. In fondo il diaframma fra corsa che lievita e corsa che si ammoscia è sottilissimo, e una classifica generale senza per ora un mattatore ma con tanti bravi interpreti “chiusi” in pochi minuti può diventare di colpo scenografia e sceneggiatura perfetta per il grandissimo spettacolo. Lo sport chiede ed applaude anche questi sforzi mentali e senti-mentali.

Gian Paolo Ormezzano
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