Troppi avvocati nel pallone

Lo dice Gianni Petrucci, presidente del Coni e fa discutere. Ma, Calciopoli a parte, nella frase c'è una chiave di lettura del Paese. Come al solito il nostro calcio ci somiglia.

16/11/2011
Processo Calciopoli.
Processo Calciopoli.

La frase incriminata è di Gianni Petrucci, presidente del Coni, e si riferisce al calcio italiano: «Oggi ci sono più avvocati che presidenti e calciatori». Parla a margine della decisione della Juventus di fare ricorso al Tar per chiedere alla Figc i danni per la presunta disparità di trattamento ricevuta in relazione ai fatti di Calciopoli da parte della giustizia sportiva.

Al di là del merito della questione, le statistiche ci dicono qualcosa del fatto che il nostro calcio un po' ci somiglia anche in questo. C'è un interessante libro, scritto da Michele Vietti, avvocato, vicepresidente del Csm, edito dall'Università Bocconi, e intitolato La fatica dei giusti, che tra le altre cose scrive: «Ci troviamo davanti alla tipica questione "dell'uovo e della gallina", difficilmente risolvibile: abbiamo tanti avvocati perché c'è molto contenzioso o c'è molto contenzioso perché abbiamo tanti avvocati?».

In effetti la domanda, provocatoria, trova sostegno nelle statistiche. L'Italia ha il maggior numero di avvocati in Europa: 198.000 pari a 332 ogni 100.000 abitanti. La media europea è 120. Mentre i magistrati sono 10,2, contro una media europea di 18. Se incrociate con i dati sul contenzioso queste cifre hanno una loro suggestione, dato che l'Italia (2.842.668 nuove cause civili nel 2008) è al secondo posto per il ricorso ai tribunali dopo la Russia (10.164.000 a fronte però di 149 milioni di abitanti). Di certo le cifre non bastano a rispondere alla provocazione di Vietti, che per analizzare con equilibrio i guai della giustizia italiana ha impegnato un libro intero, ma ci dicono con Vietti qualcosa di noi e del perché abbiamo così bisogno di ricorrere al tribunale.

Sentite che cosa scrive a proposito di questa nostra necessità fuori media: «Senza sconfinare qui nell'antropologia giuridica, e forse con un eccesso di generalizzazione, si potrebbe dire che a un minor livello di interiorizzazione individuale della norma giuridica tipica dei popoli latini rispetto alle culture del Nord Europa, corrisponde un maggiore ricorso  alla giustizia "istituzionale", cioè a un'istanza regolatrice esterna dotata di potere sanzionatorio».

Detto in parole povere, e calcistiche, vuol dire che senza un arbitro armato di cartellino non sappiamo giocare, (né sul campo di calcio né in quello della vita), perché non siamo abbastanza convinti interiormente che sia un valore rispettare le regole del gioco.

E infatti - è questo il corollario di Calciopoli e del suo strascico - se l'arbitro si vende e qualcuno se lo compra da noi ci si indigna, ma solo per la parte di violazione che ha favorito gli avversari. Per i nostri invece vale tutto. E pazienza se, come popolo, non ci facciamo una gran figura.

Elisa Chiari
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