Usa, tra i mormoni di Mitt Romney

Siamo stati una domenica con i Mormoni di Boston, per conoscere la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi Giorni e i suoi fedeli. Compreso il candidato alla Casa Bianca Romney.

22/10/2012
Brent Benne (a sinistra) e Mark Sivers , della Chiesa di Gesu’ Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni  a Boston .
Brent Benne (a sinistra) e Mark Sivers , della Chiesa di Gesu’ Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni a Boston .

In apparenza i Mormoni sono meno strani di quanto in America generalmente si pensi – o almeno di quanto i numerosi critici della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (ufficialmente si chiamano così) li accusano di essere. Tanto per fare l’esempio più comune, nell’immaginario collettivo la poligamia rimane tuttora associata al culto mormone nonostante tassativamente vietata dalla dottrina, pena la scomunica, fin dal 1890. Al contrario, la domenica, in chiesa, ci sono solo famiglie normali, così normali da rasentare lo stereotipo.

La liturgia consiste in un ora e un quarto circa di annunci, preghiere, musica, e soprattutto testimonianze di fedeli di ogni età che con discorsi scritti di proprio pugno (e bene, nella maggior parte dei casi) raccontano di come la religione, la fede e le Scritture – spesso citate alla lettera - influenzino, migliorandola, la vita - loro e dei propri cari.

C'è anche una sorta di eucarestia chiamata “sacramento”, composta da piccoli pezzi di pane e minuscoli bicchierini d’acqua (il vino è sempre vietato) che adolescenti maschi – rigorosamente, come tutti gli uomini presenti, in camicia e cravatta – distribuiscono tra i banchi, dopo averli benedetti con una preghiera. Il tutto nel vociare continuo dei bambini (portati in chiesa per regola a tutte le età) che, dopo un po’, diventa un sottofondo impercettibile, se non addirittura piacevole.

“Per cambiare idea sui Mormoni basta conoscerne uno”, mi dice dopo la liturgia Mark Sivers, ex vescovo (un incarico a termine nella chiesa mormone) della congregazione di Belmont, Massachusetts, inglese di nascita, americano di adozione e “italiano di missione”. Sì, perché una delle regole di questa interpretazione del cristianesimo (che molti ancora definiscono “setta”) è l'obbligo per i maschi di fare, per due anni, i missionari in una zona del mondo assegnata loro dai superiori gerarchici: una volta giunti sul posto fanno riferimento a una sorta di “capo zona”, imparano la lingua, girano sempre in coppia (anche come garanzia contro le tentazioni del mondo che nel loro caso includono tè e caffè) e rigorosamente, a prescindere dal clima o dai costumi locali, in camicia, cravatta e cartellino.

A Mark Sivers, di mestiere dentista (che ancora dopo 25 anni tiene in tasca il famoso cartellino) fu assegnata l’Italia, (dove, in seguito, a Salerno per l’esattezza, prese anche moglie); a Brent Bennet, anche lui ex vescovo, che si unisce alla nostra chiacchierata post liturgica - in palestra perché tutte le stanze del centro sono occupate dalle classi di catechismo - il Giappone. A Mitt Romney, amico personale dei due, e leader, come loro, della comunità di questo ricco ed elegante sobborgo di Boston dove vive da 40 anni, la Francia.

Se Mitt berrà eletto, sarà un ottima cosa per la nostra chiesa”, riflette Brent, presidente di un'azienda di elettronica e membro attivo della congregazione dal 1978, riprendendo il discorso del suo amico Mark “se non altro ogni americano potra’ dire di conoscere almeno un mormone”. In un certo senso anche se fra due settimane dovesse perdere il confronto elettorale, già lo conoscono. E per quanto superficialmente grazie a lui dei mormoni – perseguitati e guardati con sospetto per tutta la loro storia fin dalla prima metà dell’800 quando nello stato di New York il “profeta” Joseph Smith cominciò a fare proseliti – tutti in America sanno qualcosa in più.

“Qui sono arrivati un sacco di giornalisti, ma forse un po’ troppo tardi”, continua Brent, preoccupato che l’immagine del vero Mitt Romney, quello che qui, in questa isola mormone nel verde, tutti conoscono e stimano, non riesca a sostituire quella spesso caricaturale appiccicatagli addosso da avversari e stampa. “Mitt è uno di quelli che se vede qualcuno in piedi in chiesa corre a prendergli una sedia, e lo fa nel modo meno evidente possibile, altro che miliardario egoista e senza scrupoli!”.

Ma la riservatezza, tipica dei mormoni, con cui Romney, secondo numerose testimonianze dirette, ha sempre aiutato – e continua ad aiutare – (anche in modo sostanzioso) i meno fortunati, gioca a sfavore del candidato repubblicano quando applicata – com'è successo in campagna elettorale – alla sua dichiarazione dei redditi; così come attira critiche alla sua Chiesa, restia nel pubblicare i propri bilanci (non essendo obbligata a farlo dalla legge) dal 1959.

E i “segreti” dei mormoni non si limitano alle finanze. Di fatto questa Chiesa – con sede centrale a Salt Lake City, Utah, né Cattolica né Protestante, con 14 milioni di adepti nel mondo (6 solo negli USA) e secondo stime interne almeno 300.000 nuovi membri l’anno (specialmente da Nord e Sud America) che nella propria teologia affianca all’Antico e al Nuovo testamento, il “Libro di Mormon”, testo che, tra le altre cose, narra di una migrazione di profeti da Gerusalemme in Nord America, e dell'apparizione di Gesù, sempre in Nord America, dopo la resurrezione - non celebra le sue cerimonie più importanti in pubblico.

Accanto alla chiesa, edificio semplice, pieno di finestre e di luce, aperto a tutti, c'è il tempio riservato solo ai membri ritenuti “pronti”, dalla gerarchia, ad entrarvi (se ne sta costruendo uno anche fuori Roma con apertura prevista nel 2014). Quello di Belmont è un enorme edificio di granito italiano, con poche strette vetrate verticali, costruito su uno dei punti più alti di tutta l’hinterland bostoniana. È chiuso la domenica, ma Brent e Mark mi accompagnano comunque alla porta di entrata: attraverso i vetri scorgo una reception degna di un grande albergo.

“Di solito dietro quel bancone c'è un custode, vestito di bianco, che controlla le credenziali”, mi spiega Brent, “una volta dentro ci si lava e si indossano tonache bianche, a quel punto le differenze economiche e sociali spariscono e ci si sente davvero tutti uguali”. Nel tempio si celebrano riti tipicamente e unicamente mormoni tra cui il battesimo, per i vivi ma anche per i defunti (in pratica per procura) e il matrimonio che, nel credo mormone, vale anche dopo la morte, ovvero per l’eternità.

“Ti chiederai perché non lasciamo entrare chiunque”, dice Mark reagendo alle mie naturali perplessità con un fervore e un trasporto maggiori del solito “anche nell’ebraismo delle origini, nel tempio entrava solo, e non sempre, il sacerdote. Qui si celebrano i riti più intimi e si vivono i momenti più sacri della nostra fede: non ci sembra giusto svenderli o trivializzarli”. Uscendo dal complesso, in macchina, ripasso il cartello all’entrata: “I visitatori sono benvenuti”, dice ….

Fino a qualche decennio fa un presidente mormone non sarebbe stato neppure immaginabile. Oggi evidentemente sì. Eppure Romney della sua fede in campagna elettorale ha sempre parlato poco. E mentre, in fondo all’orizzonte, mi appare il profilo del centro di Boston comincio a capire il perché.

Stefano Salimbeni
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