Obama-Romney, lo sprint finale

Secondo i sondaggi, l’ultimo scontro televisivo tra il Presidente Barack Obama e lo sfidante Mitt Romney ha diviso gli americani: un “dead heat” del 47%.

25/10/2012
Obama e Romney alla fine del terzo dibattito (foto del servizio: Reuters).
Obama e Romney alla fine del terzo dibattito (foto del servizio: Reuters).

Da Boston - Tradotta letteralmente, l’espressione “Dead Heat” (calore morto) non significa granché, eppure dà l’idea di qualcosa di immobile e inquietante al tempo stesso. In realtà questo termine dall’etimologia oscura significa “parità” netta, totale e indiscutibile.  Di solito si usa nello sport – e dato che in America il pareggio non è praticamente consentito (i tempi supplementari sono la regola in quasi tutti i campionati maggiori anche durante la stagione regolare) è abbastanza normale che la parola “parità” suoni come qualcosa di indesiderato.

Qui ormai si vince o si perde, anche in quelle sfide dove è obiettivamente difficile determinare il punteggio. E i dibattiti non fanno eccezione, anche perché i mass media, giocando sullo spirito di competizione che gli americani hanno già di natura nel sangue, ci mettono il carico da novanta e presentano quelli che dovrebbero essere confronti su visioni, filosofie politiche e soprattutto programmi, in match all’ultimo sangue dove più che i fatti contano gli atteggiamenti, i toni, le battute di spirito.

E’ vero che a dibattito finito i network, specie quelli allnews sguinzagliano i “fact checkers” ( i controllori di fatti) ma a quel punto la maggior parte dei telespettatori o si è addormentata o ha cambiato canale. I primi importantissimi minuti dopo il “fischio dell’arbitro” (o del moderatore in questo caso) sono tutti dedicati a chiedersi e a chiedere agli esperti (spesso sfacciatamente di parte) “chi ha vinto?” 

Ebbene, se è vero che i dibattiti servono a convincere gli indecisi a votare in un modo o nell’altro, i pigri, i distratti e gli sfiduciati (e qui ce ne sono tanti), ad andarci, a votare, e la base dei fedelissimi a entusiasmarsi al punto tale da "convertire" gli uni e gli altri, il vincitore di questa tenzone appena terminata al meglio dei tre incontri è senz’altro lo sfidante Mitt Romney. I sondaggi parlano chiaro: un “dead heat” a livello nazionale, 47 a 47 percento. “Calore morto …che parla!” Proprio il 47 poteva essere il numero disgraziato per Romney, dopo che un telefonino acceso a una raccolta di fondi da 50 mila dollari a coperto rivelò solo un mese fa l’opinione che aveva di quella percentuale di popolazione «il 47 percento di questa nazione non paga le tasse, non prende in mano la propria vita e pensa che tutto gli sia dovuto, voteranno sicuramente per Obama ed è inutile cercare di convincerli del contrario», aveva detto, in soldoni, pensando di essere sentito solo dai colleghi miliardari nella stanza.

A quel punto, la campagna dei repubblicani se l’era davvero vista brutta. Ma nel primo dibattito, nell’aria rarefatta di Denver, Barack Obama non è riuscito a inchiodarlo alla visione elitaria e darwinista dell’America rivelata da quel video e, forse eccessivamente sicuro di se, al contrario è apparso sottotono, poco convincente e tutto sommato sulla difensiva. Potenza del “body language”, il linguaggio del corpo che nella democrazia mediatica e iper-connessa del 21esimo secolo sembra contare più dei programmi, della storia di voto in parlamento o della lista di leggi approvate o fatte approvare, Mitt Romney si è ritrovato per la prima volta  in testa nei sondaggi nazionali.

Il secondo dibattito, il più interessante, anche visualmente perché come due lottatori di sumo i contendenti sono stati  messi su un palco circolare e lasciati liberi di muoversi anche l’uno verso l’altro, è finito, dicono gli esperti, sostanzialmente in parità. Di certo Obama ha alzato i toni, la voce e il livello dello scontro, facendo tirare il fiato ai tanti democratici che cominciavano a temere un suo desiderio latente di prepensionamento.  

Infine il terzo, sembra se lo sia aggiudicato “ai punti” Obama,  sempre a sentire gli esperti e i sondaggi, condotti in tempo reale, tra telespettatori “indecisi” (ormai ci manca solo il televoto!).  Tuttavia l’ultimo faccia a faccia, quello che di solito, una volta nella cabina elettorale si ricorda meglio degli altri, non è bastato a riscattare il primo, quello che di solito non si ricorda affatto, ma che invece quest’anno sembra fare eccezione. 

Incentrato sulla politica estera che – visti i problemi economici interni – poco interessa l’elettore medio, il dibattito ha dimostrato una ovvia e prevedibile superiorità del presidente in carica, senza nulla togliere alla preparazione anche se solo teorica del secondo. Il problema è che in questo campo i due vanno fondamentalmente d’accordo – ancora di più da quando Romney ha capito che l’America dopo 10 anni di Afghanistan e 9 di Iraq non può permettersi più di tanto né economicamente né socialmente di alzare i toni con Siria, Iran e compagni rischiando di ri-impantanarsi in un altro conflitto.

E quando i “duellanti” hanno cercato di portare il discorso sull’economia e sulle diverse – molto diverse – ricette proposte per “aggiustarla” come dicono qui, lo stagionato e bravissimo moderatore Bob Schiffer, da 44 anni al desk politico della CBS, non glielo ha giustamente permesso.  Dunque parità, “dead heat”, non solo a livello nazionale  ma anche nei tre principali stati ancora in bilico: Florida, Ohio e Virginia. Altro che “morto”! Qui nelle prossime due settimane il “calore” politico sarà più vivo e intenso che mai.            

Stefano Salimbeni
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