Mine, le armi vigliacche

Nel 1997, il Trattato di Ottawa. Nel 2008, la Convenzione di Oslo. Mine antiuomo e bombe a grappolo (cluster bombs) sono al bando. Chi riconosce le norme e chi no. Chi smina e chi muore

Mine antipersona e cluster bombs, la strage nascosta

06/01/2012
Una serie di mine ritrovate e disinnescate. Foto: Reuters.
Una serie di mine ritrovate e disinnescate. Foto: Reuters.

Uccidono, feriscono, infestano per anni il terreno con semi di morte, costringono comunità intere a vivere nel terrore e paralizzano le già fragili economie dei Paesi più poveri. Sono le munizioni antipersona, armi di distruzione di massa 'al rallentatore', che non riconoscono tregue, cessate-il-fuoco o tratti di pace e mietono vittime soprattutto tra i civili anche anni dopo essere state sepolte o sparate, restando attive anche molto tempo dopo la fine dei conflitti.

Di queste armi  fanno parte le vecchie mine, che esplodono quando vengono calpestate, e gli ordigni di nuova generazione, come le micidiali cluster bombs, ancora più difficili da neutralizzare: grandi contenitori sganciati dagli aerei e pieni di piccole bombe, molte delle quali si conficcano nel terreno restando inesplose.

Uno sminatore all'opera. Le mine antipersona, così come le munizioni (bombs) lanciate o sparate dentro un contenitore (cluster) saturano aree normalmente abitate da civili. Colpiscono soprattutto donne, bambini e contadini. Foto: Reuters,.
Uno sminatore all'opera. Le mine antipersona, così come le munizioni (bombs) lanciate o sparate dentro un contenitore (cluster) saturano aree normalmente abitate da civili. Colpiscono soprattutto donne, bambini e contadini. Foto: Reuters,.

Nonostante siano bandite dalle norme internazionali, le mine antipersona continuano a essere largamente usate in molte aree del mondo. In gioco ci sono interessi miliardari, economie di interi Paesi che prosperano grazie all'industria bellica. Non è un caso se la lista degli Stati più riluttanti all'abolizione di questi armamenti include grandi potenze come Stati Uniti, Cina, India e Israele. Eppure, anche se tra tante resistenze, negli ultimi vent'anni la comunità internazionale ha fatto passi avanti di importanza vitale.

Il trattato sulla messa al bando delle mine antipersona, firmato a Ottawa nel 1997, e la più recente convenzione di Oslo sulle cluster bombs sono due conquiste storiche, tappe fondamentali verso il disarmo umanitario, cui sta aderendo un numero sempre crescente di Stati. Ma bisogna vigilare, perché c'è sempre chi cerca di rimettere in discussione questi testi o di piegarli ai propri fini. 

Nel 2010 4.191 persone in 60 Paesi sono state vittime di mine, cluster bombs e altri residui bellici; almeno 1.155 persone sono morte e 2.848 sono rimaste ferite. Questi gli ultimi dati del "Landmine Monitor", un osservatorio realizzato dalla "Campagna internazionale per la messa al bando di mine e munizioni cluster". Numeri che, per ammissione dello stesso osservatorio, sono sicuramente inferiori (e di molto) rispetto alla realtà: riportano solo i casi documentati, ma le vittime reali sono ben di più  e i territori maggiormente colpiti sono proprio quelli dove è più difficile raccogliere e trasmettere i dati. Un quadro incompleto, dunque, ma già sufficiente per trarre conclusioni: il 75% delle vittime sono civili e di queste il 43% sono bambini.

Tra gli Stati maggiormente infestati ci sono l'Afganistan, messo in ginocchio da dieci anni di guerra, la Colombia, dilaniata dai conflitti tra l'esercito regolare e le milizie Farc, il Pakistan, che pur non essendo formalmente in guerra resta uno dei punti caldi dell'Asia meridionale, e la Cambogia, che conserva ancora le ferite dei genocidi degli anni '70 e dove in tempi recenti sono tornati a spirare venti di guerra. Nel 2010 le vittime afgane accertate sono 1.211, di cui 469 bambini; in Cambogia si ha notizia di 286 vittime, tra cui 80 bambini. 

Alcuni contenitori che "ospitavano" munizioni: una volta liberate a qualche metro da terra e cadute al suolo, le cluster bombs si trasformano di fatto in mine persona. Foto: Reuters.
Alcuni contenitori che "ospitavano" munizioni: una volta liberate a qualche metro da terra e cadute al suolo, le cluster bombs si trasformano di fatto in mine persona. Foto: Reuters.

Numeri agghiaccianti e tuttavia già molto ridimensionati rispetto ad alcuni anni fa. Nel 2001 l'osservatorio "Landmine Monitor" stimava per quell'anno un numero di vittime compreso tra 15.000 e 20.000. A fine anni '90 si parlava di circa 26.000 nuovi casi ogni anno. Molta strada è stata fatta, dunque. Dal '97 a oggi la lista dei Paesi aderenti al trattato di Ottawa si è allungata in modo considerevole: attualmente comprende 158 Stati, circa l'80% delle Nazioni del mondo.

E  il rapporto "Landmine Monitor" 2011 contiene un dato che fa ben sperare: nel 2010 le azioni contro le mine sono state finanziate da 31 donatori per un totale di 480 milioni di dollari: un risultato finora mai raggiunto. D'altra parte moltissimo resta ancora da fare.  Tra il 2010 e il 2011 Paesi come Israele, la Birmania e la Libia hanno fatto uso massiccio di munizioni antipersona e 72 Paesi sono stati definiti a rischio mine. Un po' in tutto il mondo le condizioni delle vittime continuano a essere durissime. Ai danni fisici e alle difficoltà economiche si aggiungono i pregiudizi culturali. Infatti se i combattenti feriti in battaglia possono, pur nella tragedia, contare sul sostegno di una comunità che li riconosce come eroi, i civili mutilati dagli incidenti sono lasciati soli, messi ai margini, a volte perfino dalle loro famiglie, e visti come un peso.   

Lorenzo Montanaro
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