Roma, la strage dei senzatetto

La Comunità di Sant'Egidio ha ricordato con una messa i 470 senzatetto morti nella capitale negli ultimi anni, 32 nel solo 2011..

05/02/2012
Un gruppo di senzatetto cerca rifugio sotto il colonnato di San Pietro, a Roma (foto Ansa).
Un gruppo di senzatetto cerca rifugio sotto il colonnato di San Pietro, a Roma (foto Ansa).

È un lungo elenco di nomi e di storie quello che la comunità di Sant’Egidio ha voluto leggere questa mattina nel corso della messa celebrata in Santa Maria in Trastevere. In tutto 470 persone – senza fissa dimora – morte in questi anni a Roma.


     La cerimonia di commemorazione è stata intitolata a Modesta Valenti, una anziana donna morta alla stazione Termini il 31 gennaio 1983. Quando si sentì male l’equipaggio dell’ambulanza che aveva risposto alla chiamata non volle prenderla a bordo perché sporca e con i pidocchi. La donna morì dopo ore di agonia in attesa che qualcuno la soccorresse. Da allora, ogni anno, in sua memoria si celebra una messa per portare l’attenzione su chi vive per strada. 

     Nonostante il gelo, stamattina 500 persone che vivono in condizioni simili a quelle in cui viveva Modesta, sono arrivate a Trastevere per condividere questo momento di preghiera e di riflessione. Con loro i tanti volontari che proprio in questi giorni di grande freddo si stanno prodigando per arginare l’emergenza. 

     Una guida con i luoghi dove poter dormire, trovare pasti caldi, farsi una doccia e ritirare vestiti puliti è stata approntata e distribuita dalla Comunità. Che ricorda che nel 2011 nella sola Roma sono morte 32 persone senza fissa dimora. Tre dall’inizio di quest’anno.

Annachiara Valle
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Postato da Franco Salis il 07/02/2012 07:25

La questione dei senza fissa dimora va visto come un circolo vizioso: disagio , instaurazione disturbo mentale, aggravamento del disagio che vede gli altri responsabili della propria condizione, di conseguenza rifiuto degli aiuti. Fintanto che si considera il fenomeno come “fatto culturale" o semplicemente come scelta di vita, il problema non si risolve. Non mi scandalizza il fatto che il soggetto rifiuti aiuto: ormai il degrado è alle stelle. Però io sento parlare di questo fenomeno solo in periodo di emergenza, troppo freddo o troppo caldo. Il servizio, e non l'assistenza, deve invece essere condotta in continuità. Ricordatevi che vi ho detto che sono un “sopravvissuto alla fame” del dopoguerra perché ho mangiato i formaggini “dono del popolo e del governo degli Stati Uniti d’America”, ma non per questo rinuncio alla mia libertà e non la cedo agli americani. Eppure in una trasmissione televisiva in merito alla tragedia del padre tossicodipendente che ha gettato il figlio di sedici mesi nel Tevere, una giovane signora ospite della trasmissione, si è abbandonata, con pacatezza, ma con altrettanta sicurezza nel non voler prendere atto che a quel giovane padre era mancato tutto, a partire dalle cure mediche, anche forzate, se necessario,e affermava che quando uno nasce malato, va bene, ma quando si abbandona alla droga e/o all’alcool no, quasi che droga e/o alcool siano una scelta. Un bambino di sedici mesi sin dalla nascita è stato abbandonato ad un padre e a una madre, sebbene con l’ausilio della nonna materna, incapaci del compito delicatissimo di allevare una creatura umana. Ho sentito in TV don Mazzi in diretta e quindi senza manipolazione giornalistica, dire che se non avesse avuto qualche problema da giovane(non meglio specificato) non si sarebbe fatto prete e auspicava la chiusura dei seminari. Invece l’attuale istituzione chiesa persegue di perpetuarsi inconsapevole (è un eufemismo) della sua inadeguatezza e responsabilità del degrado morale odierno, attingendo da “famiglie per bene” (male)educando alla obbedienza, anche con studi profondi, ma,ma non adatti "alla bisogna", che non hanno mai conosciuto Gesù se non nei libri. Chi “conserva” la Chiesa sono i preti come don Mazzi e tanti e tanti altri, che incontrano tutti i giorni Gesù e non quelli che stanno in Vaticano o in via Circonvallazione Aurelia 50,che sanno solo fare belle (quando sono belle) prolusioni. Buona giornata.

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