Clima, gli Usa puntano i piedi

A Cancun, in Messico, i Governi discutono di cambiamenti climatici, pressati dall'opinione pubblica che chiede di ridurre l'inquinamento. Ecco un originale diario del vertice.

10/12/2010
Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv, la Federazione italiana che coordina gli organismi cristiani di servizio internazionale volontario.
Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv, la Federazione italiana che coordina gli organismi cristiani di servizio internazionale volontario.

Cancun (Messico), dicembre 2010.

A ventiquattro ore dalla chiusura della Conferenza, a Cancun il problema restano gli Stati Uniti d’America. Un’affermazione che, ne sono certo, ha il beneficio di chi mi conosce e sa che non ho mai tenuto posizioni preconcette antiamericane. Purtroppo, l’intransigenza del capo mediatore che si muove a nome degli Usa, Tom Stern, confermatasi nelle ultime ore, stende ombre inquietanti circa la possibilità di trovare una via di uscita concordata.

    I punti nevralgici per Washington, tra i molti ancora in sospeso nella bozza di documento finale che tutti attendono nella sua versione aggiornata, sono le misure di mitigazione, il trasferimento di tecnologia e i fondi per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo. La tattica americana sembrerebbe, in sintesi, quella di uscire da Cancun con un accordo che non preveda vincoli, nè tanto meno obiettivi misurabili come quelli previsti dal Protocollo di Kyoto, e così prolungare di un altro anno i negoziati. Sino alla prossima Conferenza – la COP 17 – prevista per la fine del 2011 a Durban.

      Rallentare la discussione della proposta “sul tavolo” per la istituzione di un meccanismo per il trasferimento delle tecnologie, non accettare la costituzione di un Comitato per la gestione dei fondi necessari per l’adattamento dei Paesi in via di sviluppo  e continuare a non riconoscersi nel Protocollo di Kyoto – che ricordiamo non essere ancora ratificato dall’amministrazione Usa – sono le posizioni che fanno percepire la non volontà statunitense di sbloccare un negoziato già di per sè difficile se non a costo di inaccettabili mediazioni al ribasso.

          Cina e India, gli altri due grandi “inquinatori”,  nei giorni scorsi avevano avanzato una proposta di mediazione concordando sulla necessità di proseguire nelle trattative per definire nella sostanza le misure da intraprendere per tutto il 2011 e sino a Durban, ma nel frattempo garantendo la prosecuzione del Protocollo di Kyoto (che a Copenaghen la Cina aveva sostanzialmente ripudiato).  Gli esiti delle elezioni di medio termine negli Usa con la perdita della maggioranza al Senato da parte dei democratici, fatto che ha comportato la scomparsa dalla discussione proprio di una legge in materia di clima e ambiente, iniziano a far sentire tutto il loro peso sull'amministrazione Obama che a Copenaghen aveva promesso passi in avanti concreti nella lotta ai cambiamenti climatici.

     Seppur con una dichiarazione subdolamente populista – Obama aveva annunciato l’impegno a ridurre del 20% le emissioni di CO2, ma tralasciando il piccolo particolare che ciò dovesse avvenire rispetto ai livelli del 1990 come previsto a Kyoto – lo scorso anno l’avvento della nuova leadership statunitense aveva ridato speranza a tutti. Speranza che ha ancora 24 ore di tempo per essere confermata. Altrimenti anche Cancun sarà un fallimento, e questa volta per colpa di Washington, e sarò stato ancora una volta preveggente quando al termine della COP 15 a Copenaghen avevo sostenuto, attirandomi non pochi strali da parte di chi è da sempre schierato su posizioni più radicali e intransigenti, l’intoccabilità del Protocollo di Kyoto. Ben sapendo della sua imperfezione ed insufficienza a fronte degli enormi problemi connessi con il clima, ma anche consapevole di come esso sia il bastione di difesa contro l’irresponsabilità delle logiche del profitto così diffuse al giorno d’oggi tra chi governa il pianeta.

Sergio Marelli, 4 - continua
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