Il microcredito "fuori legge" in Italia

Il microcredito è diventato un fenomeno di straordinaria rilevanza sociale ed economica. Anche in Italia, dove però manca una regolamentazione normativa dello Stato

26/02/2013

Il microcredito non è più un fenomeno isolato. Al contrario, è ormai diventato uno strumento indispensabile nella prevenzione delle vecchie e nuove povertà, nonché alla promozione di nuove forme di iniziativa economica. Il mondo della "finanza parallela" è fiorito seguendo l'esempio della Grameen Bank, nata in Bangladesh grazie all'impulso di Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace nel 2006.

Ma sbaglia chi pensa che si tratti di una realtà che riguarda solo il Terzo Mondo. Secondo uno studio della Microcredit Summit Campaign, alla fine del 2009 esistevano 3.589 istituti di microfinanza nel mondo, in grado di coinvolgere e raggiungere 190 milioni di clienti, dei quali il 67 per cento (pari a circa 130 milioni di persone) viveva al di sotto della soglia di povertà, quindi con meno di un dollaro al giorno, prima di ricevere l'erogazione del prestito.

Il fenomeno dell'esclusione finanziaria si è allargato a macchia d'olio negli ultimi anni, anche in quei Paesi industrializzati che finora ne erano stati immuni: sono 2,5 miliardi di persone e 450 mila imprese in tutto il mondo a non riuscire più a ottenere una linea di credito attraverso i canali "tradizionali", secondo i dati Bankitalia del 2011.

La recessione globale ha aumentato drammaticamente il numero dei soggetti esclusi, "non bancabili" o, come li definiscono gli economisti, "poveri attivi": quelle persone, in prevalenza giovani, disoccupati e immigrati, che non riescono a saldare i debiti contratti pur avendo ambizioni e capacità imprenditoriali per avviare un'attività in proprio. Ancor più preoccupante il fatto che, sempre più spesso, l'indebitamento è di natura sociale, cioè non è dovuto a scelte imprenditoriali errate ma all'impossibilità di provvedere a pagamenti urgenti come bollette e affitti.

Un'indagine promossa dalla Commissione europea nel 2008 ha rilevato che, in Italia, il 16 per cento della popolazione attiva risultava esclusa dai principali servizi bancari. Di questi, circa il 10 per cento aveva un'occupazione più o meno regolare. Ma a far riflettere è anche il dato che riguarda "l'Europa dei 15", dove il tasso era inferiore di meno della metà: solo il 7 per cento.

A fronte di questi dati più che allarmanti, la società non è rimasta con le mani in mano. Come ha illustrato chiaramente un recente articolo apparso sulla rivista "Italia Caritas", gli attori della microfinanza in Italia e in particolar modo quelli appartenenti al mondo non profit (82 per cento sul totale, secondo lo European Microfinance Network) sono cresciuti in numero e in importanza: tra questi 143 Caritas diocesane ricoprono un ruolo di primo piano.

Secondo l'Enm i soggetti più attivi sono cooperative e consorzi che non solo svolgono la funzione di erogare credito, ma si spendono anche in un'attività di persuasione verso le banche per spingerle ad allargare le maglie del credito a cittadini e imprese. Esistono infatti istituti specificamente dediti al microcredito (35 per cento del totale).

Da sottolineare poi il ruolo delle banche di credito cooperativo, che spesso lavorano in sinergia con realtà del sociale e del volontariato nella realizzazione di progetti, come nel caso della Banca di credito cooperativo della Provincia di Vicenza che, in collaborazione con Caritas, ha avviato un progetto di microcredito sociale etico, un fondo rotativo di garanzia per stimolare piccoli prestiti a tasso agevolato. Altre volte sono gli stessi parroci a segnalare alle Bcc locali i casi più gravi sul territorio.

Il microcredito è quindi un fenomeno di estrema rilevanza anche in Italia. Dove però manca ancora una regolamentazione legislativa: non esiste ancora, infatti, una normativa che aiuti a distinguere gli attori del microcredito da normali finanziarie per il consumo che concedono prestiti a tassi più o meno agevolati.

Oltretutto ciò non consente un censimento puntuale della realtà italiana, che interessa sia il microcredito "sociale" che riguarda chi ha bisogno di un prestito per esigenze contingenti, come il pagamento di una bolletta o di una spesa inaspettata, sia il microcredito rivolto a chi vuole avviare un'impresa.

Esiste sì un disegno di legge che dovrebbe indicare finalità, attività e comportamenti degli attori del microcredito italiano, e cancellare quella sensazione di "non ufficialità" del settore. Ma il disegno di legge è da tempo al vaglio del Parlamento, e anche le positive novità introdotte dal Testo unico bancario del 2010 sono rimaste sulla carta per la mancata promulgazione dei decreti attuativi.

Tutto questo mentre a livello comunitario non si è rimasti in attesa degli eventi: Commissione europea e Banca europea per gli investimenti hanno da tempo lanciato i programmi Jasmine e Progress, per il sostegno agli operatori della microfinanza. Esperienze positive hanno preso piede non solo in Paesi come la Francia, ma anche in realtà nazionali meno progredite della nostra come in Romania. La lezione che si trae dall'Europa è semplice: dove è presente una normativa nazionale che regola e agevola le procedure, abbinando il prestito ad attività non finanziarie come il tutoraggio e il reinserimento nel sistema creditizio tradizionale, il microcredito si espande e funziona. È quanto chiedono con sempre maggiore insistenza anche gli operatori italiani del microcredito.

Francesco Rosati
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