22/05/2012
Una scena del film Diaz. La fotografia di copertina è dell'agenzia Reuters.
Andrea Camilleri, Massimo Carlotto, Ascanio Celestini,
Cristina Comencini, Erri De Luca, Daniele Vicari e Vladimiro Zagrebelsky. E
ancora, Luigi Ferrajoli, Rita Levi Montalcini, Elena Paciotti, Mauro Palma,
Stefano Rodotà e Rossana Rossanda. Non sono i nomi dei partecipanti a un
Festival culturale e nemmeno un'anticipazione sugli ospiti della prossima
stagione televisiva di "Che tempo che fa" nel salotto di Fabio Fazio
ma i primi sottoscrittori dell'appello lanciato dall'associazione Antigone per
l'introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano dove non è
previsto. Sono passati 25 anni dalla ratifica del Protocollo opzionale alla
Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Cat) ma il nostro Paese,
legislatura dopo legislatura, ha lasciato un vuoto normativo imperdonabile, non
prevedendo una fattispecie di reato specifica. Di fatto, dunque, la tortura nel
nostro ordinamento rimane "senza nome" e, nel caso siano messi in
atto da parte di pubblici ufficiali anche gli atti più degradanti e i maltrattamenti
più feroci, soprattutto dal punto di vista psicologico, questi vengono
perseguiti come reati ordinari alla stregua dell'abuso d'ufficio e delle
lesioni personali. Con la conseguenze che i giudici sono costretti a infliggere
pene non adeguatamente severe e facilmente soggette a prescrizione.
Il film "Diaz" di Daniele Vicari, per esempio, è
un manifesto quanto mai puntuale di come, nonostante le umiliazioni e i
maltrattamenti appurati ai danni dei fermati nella caserma di Bolzaneto nei
giorni del G8 di Genova, si sia concesso alla maggior parte degli imputati nel
processo, per lo più elementi delle forze dell'ordine e medici, di essere
ancora oggi al loro posto perché quelle che di fatto furono torture, vennero
"retrocesse" a livello di reati ordinari e successivamente
prescritte.
Un'immagine del film Diaz.
Tra l'altro, le difficoltà tecniche di circoscrivere i
confini del reato di tortura sarebbero superate dalla definizione che la
Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o
degradanti ne offre: «qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona
o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da
questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un
atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso,
di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare
pressioni su una terza persona, o per un qualunque altro motivo basato su una
qualsiasi forma di discriminazione, quale tale dolore o tali sofferenze siano
inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a
titolo ufficiale».
Alberto Picci